25 Aprile 2015
Non si devono né si possono dimenticare gli orrori del nazismo e le nefandezze del fascismo. Tanto meno può dimenticarsi quanto sia costata la lotta per conquistare la democrazia e la libertà. Ma la storia non insegna mai abbastanza. Montale scrive che “La storia non è magistra / di niente che ci riguardi. /Accorgersene non serve / a farla più vera e più giusta”. Nel suo sarcastico pessimismo ha ragione poiché le atrocità continuano, si susseguono e si moltiplicano. Non solo con le stragi del mare, che sembra essere divenuto il lager o campo di sterminio del XXI secolo, ma anche di terra (terrorismo islamico, Isis etc.). Stragi umane, causate non già da un destino crudele, ma sicuramente da un disegno distruttivo. Non paragonabili, certo, alla efferatezza folle del nazismo nei confronti degli ebrei, ma che devono comunque essere imputate alla sempre insensata e mai risolutiva guerra. Alle perverse implicazioni e conseguenze di essa non ultimo il traffico/commercio delle armi e relativi vantaggi economici. Alla mancanza di opportuni piani previsionali o di prevenzione mai concertati in passato. Ad un europeismo più utopico che reale, di fatto strumentale agli interessi particolaristici di nazioni economicamente più agguerrite. In tal senso la storia non ha insegnato proprio niente. “La storia gratta il fondo /come una rete a strascico /con qualche strappo e più di un pesce fugge./ Qualche volta si incontra l’ectoplasma /d’uno scampato e non sembra particolarmente felice”. Il 25 aprile 1945? Sì, la Resistenza, i tedeschi, le Fosse Ardeatine, “Roma città aperta” di Rossellini e quant’altro. Monumenti alla memoria di chi già sa e continua a ricordare –come non potrebbe?-, ma anche esposti al ludibrio di quelli che sanno e continuano a negare. I neofascisti e neonazisti del XXI secolo, sopravvissuti a loro stessi per farsi inquietanti testimoni e fautori dell’orrore dei massacri, della memoria oltraggiata. Ai quali strizzano l’occhio quanti pur dicendosi estranei ai loro intendimenti, ne sposano il bieco populismo e razzismo confondendo la storia con la chiacchiera (Grillo, Salvini e loro emuli). Erigendo una nuova torre di Babele del linguaggio, dove le parole perdono il loro senso ed il buonsenso diviene incomprensibile. Ungaretti diceva che il silenzio non si popola di nomi: si riferiva alla sua poesia, che sappiamo essere ermetica cioè oscura. I politici d’accatto o dell’ultim’ora, invece, sproloquiano a più non posso rendendo oscura ed incomprensibile la politica, peccando di ambiguità e rendendosi complici della nuova barbarie. Dicendo e disdicendo; attentando subdolamente alla democrazia. Altro che leggere-ricordare Primo Levi, Gramsci, documenti sulla Resistenza, sui partigiani; proiettare film, celebrare etc. Dubitiamo che persone siffatte percepiscano il significato del 25 Aprile prevalendo il loro un istinto nazionalistico più che un sentimento di nazione. Leggere e ricordare ha molto più senso nella scuola, il luogo meno esposto alle celebrazioni di circostanza. E’ proprio sui giovani, infatti, che bisogna puntare non solo per documentarli e renderli partecipi; per dimostrare loro che la critica e la dialettica sono figlie della libertà; che i fautori dell’estremismo di destra, negando l’obiettività dei fatti (tra cui la Resistenza), sono i peggiori nemici della libertà. In una delle sue ultime lettere (data incerta, dal carcere, Gramsci esortava il figlio Delio a scrivergli “sempre e di tutto ciò che ti interessa nella scuola. Io penso che la storia ti piace, come piaceva a me quando avevo la tua età, perché riguarda gli uomini viventi e tutto ciò che riguarda gli uomini, quanti più uomini è possibile, tutti gli uomini del mondo in quanto si uniscono tra loro in società e lavorano e lottano e migliorano se stessi non può non piacerti più di ogni altra cosa. Ma è così? Ti abbraccio” (A.Gramsci, Lettere dal carcere). E’ pur vero che nella scuola ci sono stati insegnanti che hanno negato la Resistenza o si sono limitati a parlarne lo stretto necessario, previsto dalla specifica disciplina (Storia). Ma è così ancora oggi? Superato il falso dilemma se essa debba essere considerata un secondo Risorgimento o una “guerriglia”, in occasione della ricorrenza della Liberazione e proclamazione della Repubblica democratica basterebbe leggere alcune illuminanti pagine dello storico Claudio Pavone (Resistenza e guerra civile). Spendere più di una parola sull’argomento in considerazione del fatto che proprio nella scuola si annidano giovani che, sotterraneamente o palesemente, inneggiano al nazismo o fascismo. Una ragione di più perché gli insegnanti tutti (non solo quelli di Storia) dovrebbero civilmente e culturalmente schierarsi a difesa del dettato costituzionale, dei principi democratici ed ergersi a critici severissimi di chiunque li neghi. Dovrebbero fare una sana politica, parlare più consistentemente della “buona politica” ai giovani per consentire loro di contrastare la cattiva o pessima politica in cui si imbattono fuori della scuola. E’ chiaro che al fine di estirpare un cancro -le recrudescenze e i ripetuti rigurgiti estremisti, razzisti ed oltranzisti- che nonostante le conquiste democratiche ancora non è stato del tutto debellato, è necessario ricordare, parlare, manifestare in ogni dove; insistere nella speranza almeno di arginare il più possibile il dilagare o il proliferare di attacchi terroristici, in senso lato, in nome di fedi o ideologie criminali. Per l’occasione, alle parole insensate di quanti, politici e non, insistono nell’ambiguità e nell’ignorare la storia, noi opponiamo parole di libertà ed uguaglianza tra i popoli, di rispetto per i diseredati e i diversi di razza e di tendenze. Parole di incitamento per tutti quelli che fanno Resistenza a chi nega il diritto alla vita e al vivere civile; a chi attenta allo Stato e alla libertà dei popoli ; a chi intralcia il cambiamento di regole distorte o superate, socialmente ingiuste; a chi ancora vede nella guerra o nello sterminio la “igiene del mondo”. Perché noi, oggi come nel ’45, “Vogliamo un mondo senza patrie in armi, /senza confini tracciati coi coltelli: l’uomo ha due patrie: una è la sua casa e l’altra è il mondo, e tutti siam fratelli. / Vogliamo un mondo senza ingiusti sprechi / quando c’è ancora chi di fame muore; /vogliamo un mondo in cui chi ruba va in galera, / anche se ruba in nome del Signore. /Vogliamo un mondo senza più crociate / contro chi vive come più gli piace; / vogliamo un mondo in cui chi uccide è un assassino / anche se uccide in nome della pace ( Lunari-Negri, 25 Aprile 1945). Perché non si abbiano più a sentire oscenità come queste: “Avanti march / avanti ben serrati, le esse esse avanzano nel sol / i camerati che la morte ha già baciato / son sempre qui e marciano con noi…./ Avanti su / ti guida un macellaio / e dietro a lui a passo militar /vitello ariano impaurito dal beccaio / tu vai così a farti macellar….” (Horst Wessel Lied, Anonimo- B.Brecht), un inno ispirato (anche se indirettamente) a tal Horst Wessel morto, probabilmente, in circostanze misteriose e poco nobili, ma trasformato da morto in eroe e martire nazista, al quale le SA lo dedicarono. Per ricordare che la democrazia è quotidianamente minacciata da quanti ancora agitano le bandiere nere e le svastiche, palesemente o sotto mentite spoglie; che oggi “Di nuovo come un tempo/ sopra l’Italia intera /urla il vento e soffia la bufera…../ Che a diciannove anni / è morto Ovidio Franchi /per quelli che son stanchi /o sono ancora incerti. / Lauro Farioli è morto / per riparare al torto / di chi s’è già scordato / di Duccio Galimberti. /Son morti sui vent’anni / per il nostro domani:/ son morti come vecchi partigiani…/ Compagni! Sia ben chiaro / che questo sangue amaro / versato a Reggio Emilia / è sangue di noi tutti”. (F. Amodel, Per i morti di Reggio Emilia). Che la storia, insomma, “Lascia sottopassaggi, cripte, buche / e nascondigli./ C’è chi sopravvive. […] non compie tutte le sue vendette” (Montale, La storia). E’ vero, la storia non ha potuto ancora vendicare del tutto i morti di Reggio Emilia (né quelli delle foibe), a tutt’oggi ritenuti da non pochi malpensanti briganti o traditori. Dubitiamo che possa rendere giustizia o vendicare i morti nel Mare Nostro. Gramsci, morto in una clinica romana dopo ventidue anni di prigionia perché colpevole di non essere fascista; oggi tradotto in tutto il mondo, insegnato nelle Università americane, inglesi, giapponesi e altrove, attende ancora di essere “vendicato” nella scuola (media superiore) italiana, dove viene tranquillamente sorvolato. Ci chiediamo: per l’inguaribile, tipicamente italica noncuranza dei talenti o glorie intellettuali e culturali del paese, scolasticamente non “catalogati”?
Giorgio Maulucci
Tags: 25 aprile, Alessandro Cozzolino, Giorgio Maulucci, liberazione
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