I RESTI DI UN TEATRO (PARTE II)
(Clicca qui per leggere la parte I) Un teatro costato un occhio della testa e, si dice, la struttura più bella di tutta la provincia gestito in tal guisa. Come se nulla fosse, sul palcoscenico dell’ormai inglorioso “D’Annunzio” passava di tutto, dai saggi di danza delle scuole e scuolette locali, gratuitamente “offerti” dalla responsabile del “Valore Cultura” (pure questa si sono inventata!), la bene e sempre amata Patrizia Fanti (al cuore non si comanda!), alle rappresentazioni tra il ludico e il faceto -il teatro della “chiacchiera”(sic Pasolini) o dell’effimero-, gli “ospiti d’onore” per épater le bourgeois (a dire il vero, tra quelli di ordinanza, ce ne sono stati alcuni davvero grandi: Aznavour, la Greco, pure la Kabaiwanska, approdati, però, sotto altra bandiera). Per nostra personale “intercessione”, arrivò pure il Piccolo di Milano con “Arlecchino servitore di due padroni” (il Piccolo, di suo, non sarebbe venuto a Latina, quella fu l’unica volta, al D’Annunzio; un’altra volta, al Liceo Classico, ad un anno dalla morte di Strehler, recital con A. Jonasson e Franco Graziosi, memorabile). La Fanti, in una intervista, disse che fu lei ad intercettarlo; la smentimmo all’istante. La situazione languiva, sempre a peggiorare, con il “Cafaro” concesso a tout bon fair (a pagamento e non ). Nel 2010 decadde Zaccheo, arrivò il Commissario prefettizio Dott. Guido Nardone il quale, come il suo successore , si trovò alle prese con una montagna di malaffari, di inconcepibili incongruenze ed inadempienze tra cui la fantasticata, fantomatica metropolitana. Ci interpellò in occasione del 18 dicembre (Natale di Latina) sul che fare per la ricorrenza. Proponemmo la messa in scena di “Canale Mussolini” (Pennacchi), vincitore dello Strega. Pernarella ne curò l’allestimento, uno spettacolo ed una serata fuori del comune. Parlammo, in seguito, del teatro: stando alla realtà di esso, l’unica soluzione alternativa benché non risolutiva, restava la ATCL, sulla quale lo stesso Pernarella e altri non sono mai stati d’accordo (il teatro di Latina “colonizzato” dai romani?). Ad essa si affidò il compito di approntare e gestire il cartellone per la nuova stagione teatrale. Pernarella si dava da fare, sembrava dovesse prendere le redini della situazione, si diceva-non si diceva, non s’è capito. E così passò un’altra “nottata”. La struttura, che già da un pezzo dava segni si cedimento, faceva oramai acqua da tutte le parti. Nell’ultimo decennio ne erano state a più riprese segnalate le crepe e le falle d’ogni genere, ma nessuno se ne curò. Di soldi neanche l’odore, neppure per lo stipendio ai tecnici, guardiani o uscieri. Fu la volta di Di Giorgi il quale, tra le tante malefatte, trattenne per sé la delega alla cultura cassando l’assessore. Di cui, a ben riflettere, non se n’era mai sentita una significativa presenza, ma la decisione di sopprimerne l’assessorato rimarrà, a nostro avviso, una tra le indecenze ed inadempienze più clamorose da ricordare. In sintesi, questa è la tragicomica storia di quel che avrebbe dovuto essere il teatro, ridotto ad un traballante palcoscenico, calpestato più che calcato da ridicoli e grotteschi guitti del governo di questa città. Che lo hanno svilito irrimediabilmente al punto da costringere il Commissario di turno a ricorrere ad estremi rimedi : la chiusura dello stesso, una punizione biblica da noi condivisa al 100%. Non si può accettare, infatti, che oggi e solo oggi Soloni o tribuni del popolo sollevino gli scudi e si ergano a difensori di un bene che, tutt’al più, hanno considerato di facile consumo. Loro, politici e “teatranti”, avevano o no occhi per vedere? Loro, prima e più di un Commissario, avrebbero potuto/dovuto proporne la chiusura anziché frignare ed adoperarsi purché lo spettacolo continuasse (the show must go on), qualunque esso fosse. Uno spettacolo rivelatosi in tutto il suo squallore col sindaco Di Giorgi, in realtà la cartina di tornasole che ha messo in chiara luce tutto il fallimentare pregresso. E’ chiaro, quando la merda in una città è arrivata all’orlo e straripa, è paradossalmente legittimo giustificarsi col dire che c’è ben altro e di più urgente cui pensare. Dovrebbero essere i cittadini, finalmente, ad entrare in scena. Nella consapevolezza che fin dalla antica Grecia una città, un paese senza teatro non possono dirsi civili. Piuttosto che le occupazioni o proteste che sanno di rigurgiti sessantotteschi (vedi Teatro Valle di Roma),facilmente strumentalizzabili, la cittadinanza dia un segnale forte: si astenga dall’ andare in un teatro fatiscente a tutti i livelli fintanto che non abbia appurato che esso sia stato messo in piena regola. Non solo strutturalmente e in termini di sicurezza, ma anche come organizzazione interna cioè tecnica, artistica e finanziaria; insomma, nei contenuti. Con addetti ai lavori di comprovata competenza e professionalità (i ruoli), un consiglio di amministrazione (e relativi revisori dei conti). La cittadinanza chieda conto e rendiconto piuttosto di ciò avendo il diritto alla informazione e trasparenza; si creino dei comitati di intervento e di controllo. Questa astensione si configurerebbe davvero come una salutevole protesta civile. Bene siano associazioni, cooperative artistico-culturali o “civili rinascite” che non potrebbero mai compensare, però, un vuoto di potere e dovere istituzionale atto a garantire la fruizione di un bene pubblico quale è il teatro cittadino. Si riaffermi, dunque, in questa strana città, il ruolo, la effettiva “agibilità”e vivibilità dei luoghi deputati ad accogliere e fare cultura. A cominciare dal teatro, il Moderno (Oratorio salesiano) e il Ponchielli (Scuola Media Volta) compresi, luoghi pubblici privatisticamente gestiti. Ed anche l’Auditorium del Liceo Classico “Dante Alighieri”, che fu un luogo di vera e nobile cultura, punto di riferimento anche per la città, per il quale più volte proponemmo alla Provincia che fosse messo a norma “artistica”; oramai anch’esso destinato a tout bon faire. Dai musei, un’altra gravissima negligenza. Dal Palazzo della cultura, in tutti questi anni, purtroppo, un “deposito” occasionale di merce varia, di valore e non, proveniente da ogni dove. Palazzo degi uffici, non certo degli “officiis” (i doveri, secondo Cicerone anch’essi cultura). Senza una precisa identità.
(Giorgio Maulucci)
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