ANNA MAGNANI, LUPA CAPITOLINA PER SEMPRE
L’ 8 marzo Roma ha reso omaggio ad Anna Magnani – Casa del Cinema- creando un evento significativo e altamente civile, nella sostanza ideato in forma di concerto-spettacolo, condotto con discrezione e stile, senza ombra di retorica, dall’impeccabile Simone Ferrari. Il quale ha calibrato e coniugato le letture, gli spezzoni da alcuni film (meno noti), il prezioso intervento-racconto di Giancarlo Governi con la presentazione delle nove donne del Comune di Roma premiate per essersi distinte per il loro impegno civile e professionale. Suscitando un’adesione e commozione notevoli da parte del folto pubblico presente, in primis il sindaco Marino con alcuni assessori capitolini, tutte donne. Allo spegnersi delle luci in sala, il volto ineguagliabile della Magnani campeggia sullo schermo, lo stesso volto che la sera del 7 marzo veniva proiettato sulla facciata del Campidoglio, un grande, ideale abbraccio di Nannarella a Roma sua. Una iniziativa encomiabile del sindaco e della amministrazione. L’attrice Giulia Maulucci ha letto detti e contraddetti della Magnani: pensieri, battute, considerazioni irriverenti o commoventi; riflessioni toccanti ed umanissime. Giancarlo Governi, giornalista di consumato mestiere e biografo ufficiale della grande attrice, ha amabilmente intrattenuto i presenti da vero narratore “onnisciente, tratteggiando la personalità di una donna straordinaria ed inimitabile, rendendo palpabile la sua incredibile forza, anima e passione. Sottolineandone la “universalità” e al contempo la “romanità”: la ragione della sua indiscutibile identificazione con Roma. Di eleggerla a “testimonial” ufficiale (termine approssimativo ed improprio, ha sottolineato Governi, tanto per rendere l’idea) dell’8 marzo oltre che di Roma. La Magnani, infatti, è conosciuta in tutto il mondo perché rappresenta le donne di tutto il mondo. Accennando a certe stupide polemiche o critiche quando le fu assegnato l’Oscar per “La rosa tatuata” (“vecchiotta” rispetto alla Loren, si disse). Stessa reazione-motivazione quando toccò a Betty Davis la quale, cosa non da poco, si scomodò da dove risiedeva (due ore e mezzo di aereo) per andare a conoscere una delle più grandi attrici viventi. A buon diritto, dunque, Roma ha monumentalizzato la Magnani, che in una magnifica intervista (proiettata) di P. Pinto ha spiegato e sfatato la balla della sua presunta nascita in Egitto; ha detto della sua amicizia “particolare” con Marlon Brando; del suo non essere né “tenebrosa” né “patetica” né tanto meno “bella”: ma quando mai! Al termine del riconoscimento al valor civile delle nove donne tra cui una suora che opera a Rebibbia (con i Rom) ed una “popolana” del quartiere S.Lorenzo, introdotte da una essenziale biografia e relativi filmati; dell’intervento misurato del Sindaco; della lettura intensa (stessa attrice) di alcuni versi di P.P.Pasolini, un finale travolgente: un montaggio bellissimo di immagini e momenti della carriera della Magnani, scandito dalla sua voce che canta “Arrivederci Roma”. Noi l’abbiamo conosciuta personalmente fin da bambini quando, quasi ogni sabato, diretta a S.Felice, si fermava a Latina, nel negozio di alimentari di Miro (De Donato), in Corso della Repubblica (poco prima della Farmacia S. Marco), sempre di fretta. Un giorno, avremo avuto sette-otto anni, eravamo lì con nostra madre, lei entra, ci scansa, esclama: “A signò, e levateme ‘sto ragazzino dai piedi che vado de corsa”! La reazione (della mamma) fu di ammirato sbigottimento. La incontrammo in seguito, in qualche occasione, a S. Felice, con nostro padre (corrispondente de Il Messaggero); nel 1966 al teatro Quirino, nella memorabile interpretazione de “La lupa” di Verga, diretta da Zeffirelli. Al termine dello spettacolo -il teatro sembrava crollasse per gli applausi, lei, commossa, si inginocchiò sul proscenio-, salimmo in camerino. Era stanca, ci affacciammo alla porta, scorbutica disse: “Ah, sei te, e mo’ che voi?”; un po’ intimoriti mostrammo il programma di sala (per l’autografo); “ E vabbé, già che te sei sderenato pe arrivà quassù, viè, sbrigate…”! Poi ci salutò affettuosamente dicendo: “Nun poi immaginà che fatica”. L’anno seguente, sempre al Quirino, fu la “Medea” di J. Anouilh per la regia di G.Menotti, ma non si ripeté la grandissima emozione dell’anno precedente. Lei era immensa.
Aveva frequentato l’Accademia d’arte drammatica, a Roma (1926, Reale scuola di recitazione “Eleonora Duse”, poi Silvio D’Amico), il liceo classico (fino al secondo liceo); era consapevole della sua arte e perciò guardinga nelle scelte. Nel 1962 era già stato annunciato il suo debutto a Broadway con “Madre Coraggio e i suoi figli” (B. Brecht), che non avvenne, si presume per una sua resistenza. Anna Magnani fu eccentrica ed irresistibile nel teatro di varietà, a lei congeniale. La prova estenuante de “La lupa” e “Medea” può averla indotta –è una nostra supposizione- a calcolare il rischio del teatro di prosa, soprattutto per il registro della voce; il suo, a dire il vero, risultò basso, a tratti impercettibile (il testo corposo di Brecht richiede un timbro ed una tenuta piuttosto sostenuti). Dopo l’omaggio che Roma le ha tributato, noi che abbiamo sempre amato questa città e a tutt’oggi l’amiamo –ad essa dobbiamo la nostra formazione culturale d’origine, non solo universitaria-, confessiamo che la troviamo ancora più bella. E’ come se ci sentissimo poco poco più rassicurati nel saperla, chissà, protetta da una “lupa” verace, da un’autentica “vestale” come la chiamò Fellini (“Roma”). E vorremmo sentirci dire come disse a lui (per la “vestale” ed altri lusinghieri aggettivi): “ a Federì, ma va’ a dormì”! Sarebbe per noi un grande conforto e stimolo a rimanere svegli e appassionati come lei è stata. Grazie, Anna.
Ma che colpo al cuore, quando, su un liso / cartellone…… Mi avvicino, guardo il colore /già di altro tempo, che ha il caldo viso / ovale, dell’eroina, lo squallore / eroico del povero, opaco / manifesto…. /[…] Quasi emblema, ormai, l’urlo della Magnani / sotto le ciocche disordinatamente assolute, / risuona nelle disperate panoramiche, / e nelle sue occhiate vive e mute /si addensa il senso della tragedia (P.P. Pasolini).
Giorgio Maulucci
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