Con l’ultimo film -“Mia madre”- Moretti ci consegna la sua identità più matura e sincera, senza infingimenti ideologici presentandosi come una “maschera nuda” (magari lui, a Pirandello, non ci avrà pensato, ma il collegamento con una delle sue più commoventi novelle, Colloquio con la madre morta, viene spontaneo). Un film in cui la ragione e il sentimento confliggono senza escludersi nel senso che ti mostra la vita quale è, infinitamente variegata, che può gratificarti (nel lavoro, negli affetti) ma anche crudelmente insultarti. Che ti obbliga, per amore o per forza, a rassegnarti all’evidenza del dolore o delle sconfitte; a confessare con orgoglio o con umiliazione di aver vissuto. Nel film c’è la formazione culturale di Nanni Moretti (padre docente universitario, madre professoressa di Latino e Greco, al Liceo Classico “Visconti” di Roma), la passione per il cinema, per la politica (le lotte operaie); il superamento dello snobismo intellettualistico (di sinistra) e, quindi, la consapevolezza di chi, attraverso l’esperienza e la cognizione del dolore, ha imparato a distillare il succo di una rara e salutevole saggezza. “Quando si è vecchi tutti ti prendono per scemo senza sapere, invece, che la vecchiaia ti fa capire di più. Perché pensi”. Lo dice la madre, inchiodata dall’inizio alla fine del film nel letto di un ospedale salvo gli ultimi giorni quando, ricondotta a casa, morirà. Una straordinaria Giulia Lazzarini, che Moretti ha avuto la sensibilità ed intelligenza di esaltarla quale grande attrice di teatro (strehleriana), dialogante o monologante, in ogni più segreta variegatura e sfumatura espressiva, umanissima e vera nel rendere la dolorosa sofferenza della malattia e della morte soffusa di una tenera, dolce mestizia.