GIANFRANCO PANNONE LEOPARDIANO “SUL VULCANO”/DVD

Pubblicato da Giorgio Maulucci. In Dai blogger

sul_vulcano(presentazione c/o La Feltrinelli di Latina, 9.02.15, ore 18.30)

“Sul Vulcano”, l’ultimo documentario di G. Pannone (2014), di fatto è un vero e proprio film sia per la sceneggiatura, che definiremmo una  scrittura “drammaturgica, sia per il respiro epico-narrativo e per il ruolo che hanno le persone intervistate, autentici personaggi popolari. Pannone è nato a Napoli. Nel ’96 realizzò “A Sud” dove aderisce palesemente alle sue origini. Questa volta, invece, è senz’altro più straniato quindi artisticamente “superiore”. Nei precedenti documentari, per esempio: “Latina-Littoria, una città” (2001), “Scorie di libertà” (2012, centrale nucleare Borgo Sabotino), “Il sol dell’avvenire” (Festival di Locarno,2008), “Ma che storia”(2010, sul Risorgimento)-, volente o no, è intellettualmente autoreferenziale o di parte, a tratti didascalico. Il Vulcano lo ha reso, invece, leopardianamente a-ideologico come se avesse subordinato l’ideologia al sentimento poetico, in linea con la visione autenticamente democratica della vita e della società del poeta recanatese; realistica del popolo napoletano, che nel film è l’interfaccia di quello italiano, vittima di un’epoca “superba e sciocca”, dell’illusione che cesseranno  privilegi e  guerre. ”….Cresci, cresci alla patria, o maschia certo /Moderna prole. All’ombra de’ tuoi velli/ Italia crescerà, crescerà tutta /Dalle foci del Tago all’Ellesponto /Europa, e il mondo poserà sicuro….” : così Leopardi, con sarcastica ironia (Palinodia al marchese Gino Capponi, Napoli, 1835).

UN PRESIDENTE IN GRISAGLIA

Pubblicato da Alessandro Cozzolino. In Dai blogger

Mattarella-Renzi-Berlusconi-Alfano-SalviniL’elezione del dodicesimo Presidente della Repubblica offre il destro per una sintesi non solo del circo Italia, ma anche delle analisi, delle critiche, premonizioni o “profezie” da ogni parte avanzate, dall’entrata in scena di Renzi-Napolitano fino alla prima quadratura del cerchio siglata Renzi-Mattarella. Dando per scontati fatti e fattacci di cui tutti oramai sono a parte, ci piace precisare subito che fin dall’inizio, pur manifestando le nostre perplessità sul personaggio Renzi, abbiamo individuato in lui l’uomo d’ azione, colui che finalmente avrebbe potuto se non altro arginare Berlusconi e pensare realmente al cambiamento. Di non avere mai avuto dubbi, fin dal loro primo apparire, sulla scellerata comparsa e affermazione di Grillo e Casaleggio e la conseguente  acclamazione a semi furor di popolo del movimento. Di non giustificare, oggi, la volgarità e la demagogia degli stessi, i guasti ed incidenti comportamentali e antiistituzionali neppure in virtù di un pur ammissibile effetto positivo (provvidenziale?): lo scossone provocato nella gora stagnante dell’apparato politico.

HANNAH ARENDT, EBREA ATIPICA

Pubblicato da Giorgio Maulucci. In Dai blogger

hannah_arendtHannah Arendt- Margarethe von Trotta- Barbara Sukowa: una terna perfetta per un film compatto, intelligente e asciutto, formalmente ed ideologicamente ineccepibile e, vivaddio, necessario. La regista tedesca, nota soprattutto per l’ormai proverbiale “Anni di piombo” (1981, Leone d’oro a Venezia, sulla banda Baader Meinhof e il terrorismo), con l’allora giovane Sukowa, prosegue il suo discorso politico e cinematografico con “Hannah Arendt”, la studiosa, filosofa e docente tedesca/ebrea morta nel 1975, vissuta in America, sposata con un professore. Con rigore storico ed introspettivo, senza nulla concedere a divagazioni spettacolari, agiografia e sentimentalismi, ne delinea l’affascinante e superba statura di donna straordinaria e risoluta sia nel suo ruolo pubblico e professionale, sia in quello privato. Tratteggiandone con grande sensibilità e partecipazione il legame e l’intesa intellettuale col marito, i suoi improvvisi tuffi nel passato, senza recriminazioni o nostalgie, in modo assolutamente essenziale. Come è del rapporto privilegiato col suo docente universitario e filosofo Heidegger, di cui fu allieva prediletta, con il quale pare ci sia stata una relazione sentimentale, alla quale la von Trotta allude molto discretamente, senza indulgere in particolari: sequenze veloci e incisive, quasi accennate, come pure quella di un incontro con Heidegger già vecchio, che vorrebbe rinverdire quegli anni. Seccamente Hannah gli dice che lei lo ha incontrato solo per salutarlo; la regista lascia presumere per esorcizzare certi “rimorsi” circa il suo sodalizio col filosofo filonazista. Ad una amica che, in  una conversazione, le chiede se per caso lui non sia stato il vero amore della sua vita, solo un attimo di esitazione: ferma e decisa risponde di no, che il marito è stato il suo unico, vero amore. Con lo stesso rigore, la stessa intensità e sincerità la regista ha colto uno degli aspetti più importanti della personalità e della vita della Arendt, l’amicizia: con il carissimo amico di gioventù Kurt, che va regolarmente a trovare in Israele; con gli amici di tutti i giorni, riuniti spesso in casa; con la sua segretaria Lotte, alla quale confessa che non avrebbe avuto un così bel rapporto neppure con una figlia per essere il rapporto di amicizia una cosa meravigliosa. Nel 1959 la Arendt  pubblica “L’umanità in tempi bui. Riflessioni su Lessing”. Nel suo “Nathan il saggio” G.E.Lessing (1729-1781) ribadisce a più riprese “Dobbiamo essere amici”; il nodo tematico del libro è “Basta essere un uomo”: l’uomo migliore è quello più “compassionevole” (capace del sentimento della pietà). Per Lessing come per la Arendt è nell’amicizia che si attesta la vera umanità. Ciò che colpisce nel film è proprio il senso della humanitas di questa donna ed intellettuale, l’adesione completa all’individuo come espressione del sociale, quindi, alla realtà; l’humanitas e l’amicizia come l’unico modo per umanizzare il mondo. Per non dimenticare i crimini dell’umanità tra cui la Shoa, il male assoluto. Del 1968 è la raccolta “Men in Dark Time” (traduz. inglese di “Menschlichkeit in finsteren Zeiten”, pubblicato nel 1960), di fatto un suo personale “libro degli amici”, dei saggi dedicati a scrittori, poeti, filosofi vissuti o precipitati in quei “tempi bui” di cui Brecht in una delle sue più belle liriche (“A coloro che verranno”: Davvero, vivo in tempi bui!); tra gli amici, oltre a Brecht, si annoverano Benjamin, Broch, Heidegger, Kafka, Jaspers. Parte centrale del film è il processo Eichmann, iniziato nel 1961, cui la Arendt assisterà come inviata del New Yorker, ad Israele (“come è bella…quanto mi manca” dice al suo arrivo). La von Trotta utilizza filmati dell’epoca, perfettamente integrati e amalgamati alle sequenze da non far avvertire lo stacco. Il caso Eichmann avvolge e coinvolge l’atmosfera del film senza “disturbare” gli aspetti e i sentimenti privati, una cartina di tornasole per rimarcare la inevitabile coincidenza o corrispondenza del privato-politico e viceversa. Un messaggio ancora attuale: il privato è politico. Tornata in America con chili di fascicoli del processo, si immerge a capo fitto in essi per studiare e capire l’uomo, le accuse e gli accusatori. Nel 1963 scoppiò il caso Eichmann-Arendt a seguito di articoli, prima, della pubblicazione del suo libro, dopo, che suscitarono reazioni e attacchi alla ebrea fedigrafa per aver rinnegato la sua fede e il suo popolo, per aver preso le difese del criminale. “Lei mi chiede se sono tedesca o ebrea. Per essere onesta, devo dire che da un punto di vista individuale e personale, la cosa mi è del tutto indifferente[…]; sul piano politico, parlerò sempre soltanto a nome degli ebrei, in quanto sono costretta dalle circostanze a esibire la mia nazionalità”. Rifiutata dai colleghi di corso, invitata dal consiglio accademico a dimettersi dall’insegnamento, resiste agli attacchi, non cede, continua a far lezione ai suoi allievi (una insegnante incredibilmente moderna, energetica e funzionale, una meraviglia!); in aula magna, di fronte a studenti e docenti, spiega le sue tesi, confuta quelle dei giudici di Eichmann. Il quale, sostiene la Arendt, “era incapace di pensare”, plagiato dal senso del dovere e quindi “un esecutore meccanico e incosciente” degli ordini; insomma, non responsabile individualmente dei crimini nei lager, sicuramente imputabili a più persone. Quando apprende della condanna (all’impiccagione) esclama: “Sono contenta”, lasciando sottintendere più della esemplarità della sentenza che non della giustizia ad personam. La von Trotta è molto attenta a non cancellare il discrimine tra pensiero critico e ambiguità, mantenendosi “dritta” sulla giusta linea della Arendt. Coadiuvata dalla magnifica interpretazione della Barbara Sukowa, dalla dura e al tempo stesso umanissima espressività, pensosa e dubbiosa, mai distratta, perfettamente nel ruolo; un’interpretazione sostenuta da intelligenza professionale e sentimento politico, presumibilmente in sintonia con la regista nella condivisione del pensiero della Arendt (abbiamo avuto modo di apprezzare il suo talento anche in teatro, a Parigi, nel ruolo  di Polly nell’edizione francese de “L’Opera da tre soldi” di Brecht-Strehler,1986). Il film si conclude nel salotto di casa, con un dialogo sommesso con un’amica e un primo piano della Arendt-Sukowa in cui si legge il travaglio di un pensiero forte, l’opprimente ricordo di chi è stato emarginato, perseguitato ed escluso; lo scotto della visibilità pubblica, la barbarie della civiltà occidentale (la Germania hitleriana), la luce dei suoi acclamati valori: ragione, verità, umanità. Soprattutto il rifiuto di rigide contrapposizioni.

“Se sottolineo tanto esplicitamente la mia appartenenza al gruppo degli ebrei cacciati dalla Germania a un’età relativamente giovane, è perché desidero prevenire alcuni malintesi che insorgono fin troppo facilmente quando si parla di umanità.[..] Ritengo che la sola risposta adeguata alla domanda <Chi sei?> fosse: <Un’ebrea>. Solo questa risposta teneva conto della realtà della persecuzione. […] Dicendo <Un’ ebrea>, non riconoscevo altro che un fatto politico…” (Hannah Arendt).

P.S. Tale  Francesca Recchia Luciani (non conosciamo), sulle pagine del web, distrugge il film e la von Trotta. La sua critica è in stile “Fatto Quotidiano” e autori  –Scansi, Travaglio-  supponenti e strafottenti, nipoti imbecilli di Zarathustra, ai quali, senza colpo ferire, associamo la signora. 

Giorgio  Maulucci

DUE POESIE PER UNA MEMORIA “SILENZIOSA”

Pubblicato da Giorgio Maulucci. In Dai blogger

ebrei-campi-concentramentoL’ EBREO,  UNA  SCIAGURA  PER  IL  POPOLO

Come annunciano gli altoparlanti del nostro regime, /nel nostro paese, di qualunque sventura sono responsabili / gli  ebrei. / I disguidi, che sono in continuo aumento / (poi che la guida è molto saggia, /come spesso ha fatto presente) / non possono originarsi che dagli ebrei in continua diminuzione. / Solo gli ebrei hanno colpa se la fame regna fra il popolo, / benché i capitani della Ruhr mangino soltanto le briciole /che cadono dalle tavole / degli operai./ E dietro c’è solo l’ebreo se / per il pane manca frumento, perché /l’esercito per i suoi campi di addestramento e caserme / ha requisito una estensione di terreno /equivalente ad un’intera provincia. Siccome/ l’ebreo è una sciagura per il popolo, / non dev’essere difficile al popolo /riconoscere un ebreo./ Per questo non sono necessari / né registri di nascita né segni particolari- /tutto questo può anche ingannare-. Basta soltanto chiedersi: / Questo o quell’uomo è o no una sciagura? Allora /è un ebreo. Una Sciagura non la si /riconosce dal naso, bensì dal fatto che / ne viene danno. Non sono i nasi / ad essere una sciagura, ma gli atti. Non occorre mica / un naso speciale  per / poter derubare il popolo: basta appartenere / al regime ! Ognuno sa/ che il regime è una sciagura per il popolo, e allora / se dagli ebrei viene ogni sciagura, / deve venire dagli ebrei il regime. E’ evidente.

Ansa

SKY TG24

SEGUIMI SUI SOCIAL NETWORK

twitter facebook