IL TEATRO DELLE BEFFE
Abbiamo letto (Il corriere di Latina) l’articolo di Sarandrea sulle condizioni a dir poco vergognosamente incredibili del teatro “dannunziano”. Se confortati, da un lato, di trovare in esse un obiettivo riscontro a quanto negli anni passati abbiamo detto, scritto, contestato sulle sorti niente affatto magnifiche né progressive del teatro di Latina annessi e connessi, dall’altro ci siamo una volta di più immalinconiti ed irritati per l’immobilismo culturale e politico dovuto alla miseria ed insipienza oltre che protervia con cui questa città viene amministrata. Soprattutto il millantato credito di quanti parlano di cultura per la quale, ovviamente, non si intende solo il teatro ed arte varia. La storia assurda e indecente del teatro è antica, a partire dalla vicenda male impostata e gestita della Fondazione e quindi dalla catastrofe a nome Barbareschi, che ha prosciugato i fondi di bilancio con relativo scandalo, la forzosa e doverosa rescissione del contratto da parte del Comune con relativa penale, una remissione di soldi paurosa. Si passò a Costanzo, altro disastro, altri soldi spesi male, dietro front a metà mandato del medesimo con ridicole appendici sulle quali stendiamo un pietoso velo. Nel frattempo il teatro è diventato terreno di saccheggio e appropriazione indebita ovvero clientelare a tutti i livelli (soprattutto il Cafaro), passando gradualmente dal deterioramento e manomissione-sottrazione (furti) delle attrezzature (Cafaro), carenza di manutenzione (Cafaro) all’accollamento della baracca (D’Annunzio) alla ATCL il cui unico compito è quello di piazzare gli spettacoli da essa acquisiti e distribuiti. A nulla sono valse le denunce e le critiche del “malaffare”; l’avere invocato un direttore artistico o un organizzatore competente e previdente; le indicazioni possibili circa la creazione di una compagnia stabile; la seria opportunità di una “produzione propria”, la promozione pubblico e scuole. Sordità ed insensibilità assolute; ostinazione ad affidarsi all’improvvisazione, ad assecondare mezzucci e mezzani da quattro soldi; a lasciarsi abbindolare da progetti irrisori e strumentali alla politica, ai favoritismi di bottega. Con il risultato molto elegantemente profilato da Sarandrea, nel senso che in passato lo scrivente fu molto più duro e drastico benché ignorato e maledetto dagli interessati. Il quale, al presente, se ne avesse volontà e tempo, potrebbe scrivere un pamphlet, farne un resoconto penoso e drammatico; un’analisi circa il difetto di civiltà: un popolo, una comunità senza teatro non può dirsi civile, parola degli antichi greci, ma anche dei moderni che ne conoscono il valore e l’utilità. Nel frattempo si continua ad affidare incarichi a persone importate, raccogliticce od occasionali; a confidare sulla buona volontà e responsabilità di un addetto alla custodia e alla portineria, che peraltro ha acquisito le indispensabili competenze della pur spicciola gestione del provvisorio (gli spettacoli in cartellone) e del controllo: una sola persona! Non si può parlare di stagione teatrale nel senso di una scelta culturalmente consapevole bensì di un calendario improntato alla casualità, secondo la convenienza delle compagnie o degli attori che fanno scalo o tappa a Latina, nel migliore dei casi (qualche spettacolo di qualità) per le prove generali-anteprime come merce di scambio (disponibilità gratuita del teatro). Dopo quindici anni ed un costo ingente della struttura, la città continua ad avere una pallidissima idea di teatro, un’idea all’insegna del “così è se vi pare”, i cui personaggi (comunali, che non arrivano alla sufficienza cioè a sei) non si sognano minimamente di cercare l’autore. Che se pure si volesse individuare nell’uomo dalla delega in tasca (anziché “dal fiore in bocca”), per meglio dire in uno nessuno e nessun’altro (il sindaco), lo stesso Pirandello ci rinuncerebbe. Il discorso è amaramente semplice: la storia del teatro, come anche di tanti altri problemi della città, culturali e non, permanendo tale ottusa mentalità, è fuori della storia. Se fosse in noi, per l’apertura della prossima stagione –meglio dire “vacanza”- proporremmo metaforicamente “La cena delle Beffe” di Sam Benelli, un drammone torbido di intrighi, equivoci e inconcludenze paradossalmente istruttivo e didascalico all’uopo.
Giorgio Maulucci
Tags: Alessandro Cozzolino, cultura, Giorgio Maulucci, Latina, teatro
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