IL VULCANO-ITALIA di G. PANNONE
“Sul Vulcano” di Gianfranco Pannone è l’ultimo documentario del regista pontino, presentato al Festival di Locarno, uscito nelle sale in questi giorni, tra cui l’Oxer di Latina, dove un folto pubblico l’ha accolto con un lungo applauso. Documentario e non affidandosi questa volta il regista ad una narrazione “drammaturgica”, una storia italiana intessuta di belle, colte citazioni letterarie, lette da fini dicitori-attori tra i quali Toni Servillo; di atmosfere suggestive, spezzoni filmici d’epoca relativi alle eruzioni del Vesuvio, in bianco e nero: un contrappunto estetico-formale funzionale alla bella fotografia (a colori) del film. Siamo rimasti colpiti dal tocco o taglio poetico, che non tradisce l’indole e la formazione neorealistica di Pannone sia nella scelta degli attori presi dalla strada sia nel messaggio sociale e di denuncia dei guasti di un paese bellissimo, paradossalmente attanagliato dalla bruttezza. Le interviste si risolvono per lo più in essenziali monologhi-dialoghi. Il clima richiama per certi versi il Rossellini di “Paisà” e “Stromboli” vuoi per la componente documentaristica vuoi per la percezione attenta dell’anima del paesaggio e di un popolo. Di cui Napoli e il Vesuvio sono il simbolo della “filosofia” non solo napoletana ma italiana, che vale ad esorcizzare la paura, le tragedie, le crisi economiche e non; a rinviare salomonicamente a domani il problema. Il Vesuvio incombe, si sa; la lava da un momento all’altro può far piazza pulita di case e persone installate ai piedi del minaccioso gigante bifronte: protettore come S. Gennaro, ingannatore e distruttore come Lucifero. Di cui, però, non si può fare a meno; se capita l’irreparabile ci si è premuniti assicurandosi una casa altrove dove traslocare in fretta. I volti -di una pregnanza espressionistica notevole-, le voci e le parole dei soggetti popolari sono il coro in mezzo al quale si erge maestosa e potente la voce tonante o fumante del Vesuvio, personaggio protagonista a tutti gli effetti, interattivo e sovrastante con un’assoluta fisicità. Ci è parso che in esso Pannone abbia voluto identificare l’Italia da tutti ammirata, turisticamente assediata, deturpata ed offesa loro malgrado dagli italiani, colpevole una politica che da madre l’ha resa matrigna. Non poteva mancare perciò la sempre toccante citazione de “La ginestra” di Leopardi dove il poeta lamenta e stigmatizza quelle magnifiche sorti e progressive di cui la distruzione totale di Pompei sta a testimoniare la morte generata dal non mai appagato utero vulcanico. Le rovine di Pompei sono “visitate” e filmate da Pannone con occhio criticamente eloquente, associate ad altre rovine della periferie napoletane a confermare la apocalittica benché storicamente ineccepibile e sempre attuale visione leopardiana. Tra le varie persone intervistate –il coro: buona l’idea di farle parlare “a bocca chiusa”, con la stessa loro voce fuori campo e qualche intervento solistico- ce n’è una che funge da capo coro o filo conduttore, una donna che ha una piccola azienda agricola con delle serre a due passi dall’inquinamento devastante. Tra le citazioni da grandi autori italiani e stranieri –ce n’è pure una bellissima di Kant- spicca una ammiccante favola partenopea in versi – in dialetto- che narra dell’amore di Vesuvio per Capra, una mitologia modernizzata cui fanno eco alcune celebri canzoni napoletane nell’interpretazione dissonante ed avvincente, niente affatto folkloristica, di una cantante androgina e trasgressiva. La stessa che intona, verso il finale, sulla porta di una chiesa, un canto sacro-profano molto bello (il film si apre con l’inquadratura di donne oranti). Colpisce dunque la vena poetica del regista nel disegnare una acquaforte suggestiva ed incisiva di Napoli e della sua gente stoicamente rassegnata, equidistante dalla gioia e dal dolore. Di un’umanità eduardianamente vaccinata dall’ironia e l’autoironia, che si avvertono pure nelle sequenze (filmati originali) del ripetersi del miracolo del sangue di S.Gennaro. Si fa apprezzare inoltre il modo in cui Pannone ha evitato la “letteratura” (le citazioni), usata intelligentemente come sfondo-sottofondo del paesaggio e quindi delle voci-persone-personaggi. Una base colta sulla quale ha costruito una significativa opera nazional-popolare; una sorta di “dieci comandamenti” alla Raffaele Viviani. Nonostante l’origine napoletana del regista, è questo il suo film meno autoreferenziale rispetto ai precedenti, autorialmente aideologico. Un film “istruttivo” a fronte dei tanti inutili ed inesistenti di cui personalmente facciamo volentieri a meno. Compreso “Interstellar” di Nolan, che fa la morale su un futuro inverosimilmente extraterrestre e miracoloso. Senza porsi il problema, probabilmente, che la distruzione della terra ad opera del “formidabil monte/ sterminator Vesevo” è comunque inarrestabile e resistente a qualsiasi ingegnosità scientifico-stellare. Contro il quale altro non resta all’ “umana compagnia” superstite, agli uomini tutti che “essere tra sé confederati” per fronteggiare la “guerra comune” contro la natura (e la sua vendetta) oltre che contro il funesto, lavico serpente della (cattiva) politica.
Giorgio Maulucci
Tags: Giorgio Maulucci, Pannone, Vulcano
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