LATINA COME LA CITTA’ DI MAHAGONNY: “MARCIA”
Più di una volta E. Scalfari, nel suo editoriale della domenica (La Repubblica), ha citato Brecht: il Mackie Messer de “L’Opera da Tre soldi” associato a Berlusconi, la “Città di Mahagonny” associata all’Italia. Lo ricordiamo per parare il colpo visto che chi scrive, per essere un brechtiano convinto e, sembra, competente in materia, ogni qual volta cita Brecht si aspetta: “E ti pareva”! Siamo, quindi, onorati di essere in buona compagnia. Personalmente è da tempo che pensiamo alla Mahagonny come il “negativo” di Latina, oggi una fat city (città grassa) nell’accezione peggiore, all’origine città “immaginaria”, fondata di bel nuovo su presupposti dubbiosi e ambiziosi, con mitiche prospettive. In seguito, città “ideale”, specialmente per fascisti d’origine e i nostalgici dei nostri giorni. Ma questa è una vecchia storia. L’opera di Brecht si intitola “Ascesa e decadenza della città di Mahagonny”, scritta nel 1930, gemella della più celebre “Opera da tre soldi”, del 1929: le date bastano a suggerire gli accadimenti storici sia in Germania sia in America (dove sono ambientate). Mahagonny è un nome inventato, fondata dalla vedova Begbick in mezzo al deserto a ridosso del golfo di Alabama insieme a due suoi degni malfattori, per sfuggire all’inseguimento dello sceriffo. Il nome, a suo dire, significa “città delle reti”, una città trappola dove “è permesso permettersi tutto” (nel testo). Strada facendo diventa la città della cuccagna, poi del vizio e del malaffare, quel che oggi si dice camorra e mafia: traffici illeciti, prostituzione, droga, danaro e riciclaggio dello stesso. Un bel giorno, secondo la legge biblica, si annuncia un ciclone terribile che (per punizione) raderà al suolo la città il cui motto era “Lo puoi fare”. Paul (altro personaggio) deduce che considerata ogni schifezza e l’ingordigia degli uomini, ben venga il ciclone: quel che può fare esso lo può fare anche l’uomo e cioè distruggere l’ordine stabilito. Le cose vanno come vanno. Passato il ciclone, resta in vigore la legge che tutto è permesso, vantaggiosa per la mercenaria vedova Begbick, svantaggiosa per Paul. Che s’indebita fino al collo per solidarietà con i compagni di malaffare e viene condannato alla sedia elettrica. Il succinto riassunto basti ad intendere l’abbinamento Mahagonny-Italia e, nel nostro caso, Mahagonny-Latina. E’ assodato, purtroppo, che l’Italia oramai porti la bandiera della corruzione al più alto grado. Non fanno più impressione, dunque, scandalosi colpi si scena o di mano (fraudolenta) come quello esploso in questi giorni al Tribunale di Latina. Non concepibili nei vecchi, bei tempi (anni ’50) quando si verificò lo “sballo” della “Cassa di Risparmio di Latina”, divenuta poi “di Roma”. Sia pure con tanta amarezza, confessiamo che oggi ci sentiamo risarciti. Nel senso che troppe volte siamo stati additati come dei cattivi profeti per guardare a questa città con sospetto, per non accettarne la in-cultura, la millantata gloria delle mitiche origini (a parte le inconfutabili ragioni storiche) e lamentarne, quindi, la mancata crescita ed evoluzione. A nostro giudizio dovute al diffuso clima della indifferenza e sicumera della gente “mediocre” (che sta nel mezzo), alla ostentata ricchezza, alla spaventosa labilità e pochezza della classe politica. Probabilmente, ad un provincialismo villano, privo di buon gusto, non riscontrabile in tante belle province italiane. Dovuta, insomma, alla assenza di un “pensiero” illuminato e lungimirante -il cosiddetto pensiero guida- piuttosto che, come generalmente e genericamente propalato, ai tempi brevi della sua storia e, quindi, ad un processo di “formazione” (identità e tradizione) tuttora in fieri. Motivazioni surrettizie per giustificare, astoricamente, l’inerzia e la mala gestione della città e del territorio circostante.
Ottanta anni sono irrisori a fronte della fondazione di Roma (!), sicuramente, ma è pur vero che in cento anni si fece, sia come sia, l’unità di Italia, in un tempo, dunque, sufficiente per costruire e costruirsi. Latina, nel dopoguerra, quando era poco più di un borgo, aveva una sua identità, se si vuole di riflesso (per la maggior parte veneta), che significava solidarietà umana, onestà e rispetto; c’era un clima ed un assetto politico e sociale alla “Don Camillo e l’onorevole Peppone” (Guareschi), pacioso e bonario nonostante gli inevitabili interessi particolaristici o di partito (la DC). Negli anni Sessanta, anni della grande speculazione edilizia e delle prime avvisaglie di speculazioni d’altro genere, è iniziata la corsa all’arrembaggio, alla depredazione, allo scempio della marina. Fino alla attuale degenerazione, culminata in associazioni, connivenze mafiose, camorristiche, zingaresche. Corpi estranei, escrescenze malavitose sotterraneamente e gradualmente infiltratisi e propagatisi in città e provincia da oltre un ventennio. Ai quali abbiamo dovuto tristemente rassegnarci senza più stupirci. Lo stupore, invece, si prova di fronte alla “ingenuità” diffusa di quanti ostentano -amministratori, classe politica, opinione pubblica diffusa- una immagine positiva e lineare di questa città pur conoscendone i vizi capitali; nonostante il tenore o stile di vita di tante persone che insospettabili non sono, che agiscono impunemente alla luce del sole millantando una presunta rispettabilità. Se ci si scandalizza ed indigna per un’Italia corrotta e ladrona perché non si dovrebbe per una città che lo è altrettanto? Non tutti sono condannabili, è chiaro, ma bastano i cosiddetti alti papaveri per imbrattare un foglio pulito. Non si poteva assolutamente essere a conoscenza dei loro traffici illeciti, ma la “resistibile ascesa” di ben noti personaggi alla spudorata agiatezza, a cariche pubbliche, a beneficiare di favoritismi e privilegi a scapito, ovviamente, degli onesti e dei capaci in una città di provincia dove tutto e tutti sono facilmente a vista o sotto tiro, non poteva/può sfuggire.
Senza fare nomi (non pochi li conosciamo da una vita) vediamo ogni giorno costoro camminare per strada, agire nel pieno delle loro funzioni (un magistrato!), intervenire a difesa della legalità e dei migliori principi; imporsi/proporsi come la onorata società. Sono loro, soprattutto, l’immagine deformata di una città “ideale”, comoda e agevole, dove tutto sembra accadere normalmente e sovranamente. Di fatto una “città rete”, idonea a garantire una buona pesca, ad irretire e proteggere i funamboli e acrobati del malaffare. Dove i sindaci, salvo rare eccezioni, sono stati “signorotti” di quartiere più che oculati governanti. L’ultimo della serie (C o D, a scelta!), un sindaco della “decadenza”, una presenza fantomatica, che ha fatto registrare la caduta a picco della città. La sua è stata realmente la resistibile ascesa e inevitabile decadenza di un sindaco dell’altra città di Mahagonny. Dove le buone opere, ad esempio l’Università, sono state quasi sempre il risultato di una contingenza più che di un disegno di ampio respiro, che incrementasse cioè la vita culturale della città, creasse le condizioni di una vita associativa per i giovani. Il teatro (a parte gli spettacoli) è rimasto acefalo, in tutti i sensi. I musei o pinacoteche soltanto appendici di un agglomerato urbano, che non comunicano con esso, come se non gli appartenessero. Perché Latina non ha voluto/saputo essere una città d’arte e di cultura. Neppure una città “pedonabile”: l’isola pedonale, l’ultima, geniale invenzione, si è rivelata un’opera fasulla se non fallimentare perché non pensata a dovere. Buona opera, invece, quella del Conservatorio “O.Respighi”, che sta portando avanti un progetto degno di lode: una stagione di concerti degli allievi in teatro, per la città, grazie al direttore (P.Rotili) non certo all’assessore alla Cultura (quale?!). L’ultimo, clamoroso scandalo è incredibile per indecenza e demenza dei coinvolti -i “perbene”-, convinti che tutto fosse loro permesso, come nella città di Mahagonny. Il ciclone abbattutosi in questi giorni su Latina passerà, ma non è detto che altri cicloni non siano in arrivo. Aspettiamo quello che dovrebbe abbattersi sulla “casa matta” (falsa) di Borgo Piave, una costruzione inadeguata e “offensiva”, che per un mero calcolo utilitaristico (numero degli appartamenti preventivati), presumiamo, non ha ostruito la strada. La banda dei banditi (quelli del Tribunale), per ora, è in galera; non crediamo che verrà condannata alla “sedia elettrica”. C’è da augurarsi che abbia preso almeno coscienza che la “merda”, per lunghi anni tombinata, alla fine ha fatto saltare le fogne. La verità è che la “città rete” non ha favorito e capitalizzato i valori, le eccellenze e quanto di positivo ha pur avuto e continua ad avere in risorse umane. Comunque sia ai tanti laboriosi ed onesti cittadini di essa, seriamente perbene, altro non resta che cantare: “Nel letto in cui siamo staremo /nessuno a coprirci verrà/ ma se qualcuno dà calci, siamo noi/ e se c’è chi li prende sarete voi” (song dalla “Mahagonny”). Non è davvero un canto pasquale, ma sicuramente liberatorio. Dedicato a Lor Signori.
Giorgio Maulucci
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