LE DUE ANIME DI ALBERTO CARDOSI: GRAMSCI E LEOPARDI
Venerdì mattina, 20 marzo, nell’Aula Magna del Liceo Scientifico “E.Majorana”, è stato presentato agli studenti il libro di Alberto Cardosi “Il popolo nel pensiero del giovane Gramsci”, frutto della sua tesi di laurea, portato faticosamente a compimento poco prima della sua morte (2014). Al saluto della Dirigente, Prof.ssa Stella Fioccola, sono seguiti gli interventi della Prof.ssa M.C. Laurenti (univ.La Sapienza), il Dott. S. Mangullo, Dott. D.Petti, il Prof. G. Maulucci, il laureando (Scienze Politiche) M. Napolitano, la vice Presidente della Fondazione Ricerca Fibrosi Cistica intitolata allo stesso A.Cardosi.
Non abbiamo avuto l’occasione né, purtroppo, la soddisfazione di frequentare Alberto Cardosi pur conoscendone il valore intellettuale e l’impegno politico. Come accade per le personalità di spicco, il non aver potuto beneficiare di un contatto ravvicinato con esse, fortunatamente, viene compensato dal riverbero che le loro opere o l’influenza o l’insegnamento hanno avuto e continuano ad avere su di noi. Alberto è stato un giovane di questa città, una città non certamente sensibile a recepire semi o imput culturali importanti; a capitalizzare i talenti di cittadini distintisi nell’ambito della scienza, dell’arte e della musica, della letteratura (fa eccezione Pennacchi, emblematizzato a dovere), ma anche figure politiche non occasionali o funzionali a meri interessi particolaristici, ma di notevole spessore. Come è stata la figura di Alberto Cardosi, che la politica la faceva con sentimento e passione autenticamente civili. Una figura, la sua, che ogni giorno di più si ingigantisce di fronte allo spettacolo deplorevole che in questo paese la politica ci obbliga a guardare e a subire. Lui ci credeva alla politica, per indole e per formazione laica, ultimo erede di quella “meglio gioventù” degli anni sessanta-settanta che frequentava la FGC -i giovani comunisti- animata da un sincero fervore di immergersi nel sociale, di sposare la causa popolare, di credere nel potere salvifico della politica come cultura e solidarietà umana. Piero Gobetti, Antonio Gramsci ancora più di Marx, che era il riferimento obbligato, prevalentemente teorico, mentre loro due erano il riferimento più umano, più congeniale, specie ai giovani e a quanti rifuggivano dal dogmatismo sovietico ed anche italiano del partito comunista. Da Gramsci Alberto Cardosi ha mutuato lo spirito dell’intellettuale organico, di chi è perfettamente consapevole che la propria attività di studio, di ricerca come pure le conoscenze progressivamente acquisite devono essere messe al servizio della collettività. Devono “servire il popolo”, per dirla con una formula; devono cioè aiutare la gente a capire perché e come ci si deve muovere: come prevede e detta una coscienza autenticamente democratica. Devono servire a vincere l’indifferenza. “Sarebbe importante abbattere un pensiero comune, secondo cui la realtà biologica è tutto e tutto derivi da essa. Siamo abituati a indagare sul senso della vita, così misteriosa e ricca di imprevisti; forse è il caso di dare un senso alla propria vita, più che cercarne il significato. Dobbiamo spendere il nostro tempo provando a costruire qualcosa per noi stessi in rapporto con gli altri; e tutto questo è possibile, purché non sia la durata della vita il criterio primo. E’ importante la qualità delle cose che elaboriamo nell’arco del tempo che abbiamo a disposizione, che, breve o lungo, va curato in ogni suo momento, coltivato, nutrito, vissuto senza paure o vergogne, ma riuscendo ad essere degli esempi ‘alti’ a livello umano”. Questo pensiero, che Alberto ha manifestato (scritto) nel 2007, racchiude la sua “anima” gramsciana, la storia della sua anima, di un essere umano che fino all’ultimo ha avuto il coraggio civile di “confessare” di aver avuto vissuto pubblicamente, in perfetta sintonia ed armonia con gli altri e per gli altri. Egli, infatti, ha trasmesso agli altri che se vivere comporta di necessità il morire, si deve morire lasciando la testimonianza che non siamo autorizzati a vivere invano; che abbiamo il dovere, in vita, di “confessarci” continuamente, di dichiarare e riconoscere cioè che siamo qui per non arrenderci e per aiutarci a vicenda. Per questo non si può, non si deve essere indifferenti. Alberto insiste sulla negatività dell’indifferenza, dell’inerzia. A tale riguardo cita ampiamente Gramsci il quale rivendica con orgoglio di essere “partigiano”: “Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”. Ovviamente questa scelta si paga. La riflessione sull’indifferenza, specie in una città come Latina, suona amara ed è molto significativa.
Crediamo che Alberto lo sapesse. E’ chiaro che avrebbe agito comunque come ha agito ed operato a prescindere dalla città, ma abbiamo motivo di pensare che lui, vivendo qui, l’abbia combattuta strenuamente, l’indifferenza. Quando insegnavamo al “Majorana” (prima al “Grassi”), i giovani di sinistra erano una sparuta minoranza rispetto a quelli di destra, guardati con sospetto anche da questo o quel docente. Noi docenti di formazione/estrazione marxiana (mia splendida collega di corso l’amica Anna Maria Tomassini, in seguito l’amico e collega Vittorio Cotesta) eravamo ritenuti pericolosi, accusati di “fare politica” in classe perché leggevamo o parlavamo di Gramsci (o di Pasolini); gli insegnanti simpatizzanti della sinistra, in genere, evitavano di esternarlo ai propri alunni. Noi, al contrario, dicevamo apertamente chi eravamo, politicamente, per consentire loro di guardarci negli occhi e criticarci. Alberto è vissuto in tempi più evoluti o moderni, quando sono crollate le ideologie, quando la politica si è deteriorata incredibilmente. Perciò la sua presenza e determinazione sono risultate più incisive e produttive, quindi, più coraggiose e stimolanti, soprattutto per i giovani. Il lascito di Alberto, come quello di Gramsci, è profondamente culturale, “umanistico” nel senso originario del termine, dal latino humanitas, la cui traduzione più appropriata (secondo l’accezione ciceroniana) è “cultura”, appunto; che investe la totalità dell’uomo, la sua visione della vita, l’espressione del suo pensiero nell’azione. Alberto è stato esemplare nel dimostrare che la politica è necessaria per abbattere la falsa politica, il millantato credito dei politici. Che la politica significa medesimezza umana e senso del bene comune, da non confondersi col “fate-bene-fratelli” o l’assistenzialismo (il populismo). In una città che ha avuto delle eccellenze e continua ad averle senza per questo, ahi noi, aver superato il suo stato di torpore, di indifferenza generale; senza averle sapute mettere a frutto “politicamente” -finalizzarle alla polis, al bene pubblico- per la sua crescita, diciamo per uscire dal suo stato di minorità (tanto per citare Kant), Alberto sarebbe stata l’unica persona, oggi, degna di rappresentarla come Sindaco. Lo abbiamo dedotto dall’humus “popolare” del suo libro -Il popolo nel pensiero del giovane Gramsci- , degno di essere per questo inserito idealmente, a posteriori in “Scrittori e popolo” Alberto Asor Rosa, pubblicato negli anni ’60, oggi rieditato, un ampio capitolo del quale è intitolato “Resistenza e gramscianesimo”.
Sindaco, dunque, ovvero cittadino esemplare, finalmente l’unico in grado di impugnare con efficacia ed intelligenza le armi critiche necessarie dopo avere operato la critica delle armi, di tutti quei maneggi cioè che hanno inquinato e corrotto il sistema politico nazionale, regionale, provinciale e seguenti. Del resto le armi della critica non potrebbero mai sostituire la critica delle armi; le une presuppongono e richiedono l’altra. Perché avrebbe valorizzato e galvanizzato i giovani prima di tutto con il suo esempio di giovane non solo progressista e democratico, ma “partigiano”, schierato dalla parte giusta, quella della trasparenza e della solidarietà. In un breve passo dello Zibaldone datato 1827, il giovane Leopardi scriveva alcune “congetture sopra una futura civilizzazione dei bruti”, oggi da intendersi in senso lato, dai politici ai terroristi, dagli omologati agli indifferenti. La “civilizzazione”, egli avverte, “tende naturalmente a propagarsi, e a far sempre nuove conquiste, e non può stare ferma, né contenersi dentro alcun termine” almeno fino a quando “vi sieno creature civilizzabili, e associabili al gran corpo della civilizzazione, alla grande alleanza degli esseri intelligenti contro alla natura, e contro alle cose non intelligenti”. Leopardi conclude lasciando intendere che queste sue “congetture” possono servire per “la Lettera a un giovane del ventesimo secolo”(in corsivo nel testo). Non ci sembra peregrino l’accostamento di queste congetture leopardiane allo scritto citato di Alberto del 2007 (stupefacente la coincidenza del 2 e 7: 1827- 2007) il messaggio del quale è proprio la “civilizzazione”, l’auspicato progresso; l’esortazione a spingersi sempre in avanti per dare un senso alla propria vita, per fare nuove conquiste per se stessi in rapporto con gli altri. Per creare nuove e proficue condizioni di alleanza, di umana solidarietà. Per superare il concetto della “malignità” o avversità della natura (e Alberto sapeva bene di che cosa parlasse, da essa aggredito come, in forma diversa, lo furono Leopardi e Gramsci, morti rispettivamente nel 1837 e 1937) mirando a costruire modelli, alternative “alti”; tali da infondere la forza necessaria per contrastarla. Per combattere “le cose non intelligenti”, come scrive Leopardi. Che con geniale intuizione si augura che le sue congetture possano esser di monito ai giovani del XX secolo. Certamente lo sono state per Alberto Cardosi il cui pensiero è parimenti rivolto non solo ai giovani del XXI secolo, ma a tutti quelli che verranno dopo di lui. Noi ci auguriamo anche a chi giovane più non è.
Giorgio Maulucci
Tags: Alberto Cardosi, Alessandro Cozzolino, Giorgio Maulucci, Gramsci, Latina, Majorana
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