LEOPARDI, NOSTRO CONTEMPORANEO. “FAVOLOSO” OVVERO GENIALE
Siamo stati grati a Mario Martone per avere messo in scena, un paio d’anni fa, “Operette Morali” di G.Leopardi, un’operazione e uno spettacolo coraggiosi, egregi ed encomiabili (e così pure il successivo “Serata a Colono”, della Morante). Attendiamo con trepidazione “Il favoloso Giacomo”, il film che lo stesso Martone ha realizzato sul genio italo-recanatese. Nell’imminenza dell’uscita del film leggiamo, confortati, di un Leopardi finalmente riconosciuto o riscoperto –si spera dal grande pubblico- come il più moderno tra i moderni. Personalmente non abbiamo mai avuto dubbi in proposito avendolo associato (insegnato), fin dall’inizio degli ’70, ad autori del calibro di Calvino, Pasolini, Montale. Annoverandolo tout court tra i maggiori (sic in gergo scolastico) del XX secolo. Sulle prime gli alunni si stupivano, poi condividevano. Noi lo abbiamo sempre estrapolato dai manuali o dalle grinfie della nuova/ultima critica leopardiana post idealistico-crociana (strutturalista, marxiana e simili) pur non ignorandone i notevoli contributi; suo malgrado, però, anch’essa riduttiva o di parte. Cesare Luporini (1947), Walter Binni (1969), Sebastiano Timpanaro (1969) furono gli antesignani del nuovo corso leopardiano (Sapegno aveva avuto qualche intuizione in merito, Storia della letteratura italiana, 1947) eccedendo, chi più chi meno, in qualche forzatura; sempre illuminante, però, benché estremo rimane il saggio di Luporini “Leopardi progressivo”, a tutt’oggi una pietra miliare. Critica a parte, Leopardi era ed è più avanti, oltre le ideologie; proteso incredibilmente verso il XX-XXI sec. In un pensiero dello Zibaldone, scrivendo delle “congetture sopra una futura civilizzazione dei bruti”, insiste sul concetto che “la civilizzazione [si legga: cultura] tende naturalmente a propagarsi…e non può star ferma, né contenersi dentro alcun termine…. e finché vi siano creature civilizzabili…., e associabili alla grande alleanza degli essere intelligenti contro alle cose non intelligenti”. Conclude il pensiero con una epigrafe o massima che lascia trasecolati: “[l’annotazione] Può servire per la Lettera a un giovane del ventesimo secolo” (in corsivo nel testo, Zib. 1827). Avvertivamo altresì gli alunni che se l’ Infinito è un sogno fatto in presenza della ragione, è altrettanto vero che un giovane moderno è ancora in grado di sognare romanticamente; che nel caso di Leopardi il termine “romantico” è una mera approssimazione. Che il buon Benedetto Croce, idealista convinto, demonizzato dall’onda rivoluzionaria e distruttiva dello Strutturalismo o del criticismo marxiano (a confronto Gramsci appariva un critico più obiettivo e scientifico), in ultima analisi non era davvero da buttar via. Per tale motivo le nostre lezioni partivano dal concreto, dall’unico “manuale” possibile da usarsi per comprendere a dovere l’uomo Leopardi (Francesco De Sanctis è convinto che per essere vero-grande poeta “dietro devi vederci l’uomo”): lo ZIBALDONE, a nostro avviso antesignano dei Google e di tutte le diavolerie in voga. Uno scrigno preziosissimo contenente esattamente 4526 Pensieri, i primi cento ancora non precisamente datati, i successivi dal 1820. L’ultimo è datato 1832 ed è bellissimo: “ La cosa più inaspettata che accada a chi entra nella vita sociale, e spessissimo a chi è invecchiato, è di trovare il mondo quale gli è stato descritto, e quale egli lo conosce già e lo crede in teoria. L’uomo resta attonito di vedere verificata nel caso proprio la regola generale”. Un aforisma impeccabile, da fare invidia ai più illustri frequentatori del genere -Nietzsche, Kraus,Flaiano,Manganelli, Canetti- per modernità di stile, linguaggio e pensiero. Lo Zibaldone, un serbatoio inesauribile di energia intellettuale, di scienza e conoscenza. La summa della cultura italiana ed europea. Ovunque si getti l’amo, la pesca è sempre abbondante e di prima scelta. Si leggano, ad esempio,le considerazioni sull’Europa, oggi tenuta d’occhio ai più diversi livelli; della quale percepiamo che non rappresenta propriamente l’equilibrio universale né la panacea. Meno che mai riguardo alla attuale Questione d’Oriente. “I governi che fanno parte dell’Unione europea si limitano a qualche generica dichiarazione di solidarietà con le minoranze sotto tiro, ma la loro propensione –così sembra- è di tenersene alla larga”: così Eugenio Scalfari in uno dei suoi ultimi editoriali. Leopardi aveva già le idee ben chiare. Documentato com’era scriveva “….che la popolazione del mondo, o certo d’Europa, venisse dall’Asia, si deduce dalla favola(o storia) secondo cui l’Europa avrebbe preso il nome da una donna d’Asia così chiamata… (Zib.4048)….Non dubito di pronosticarlo. L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano dai fondi del Settentrione; e quando questi di conquistatori diverranno inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che resteranno barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e persuasive, e costanti, e non ragionate, e grandi illusioni, i popoli civili saranno lor preda.” Dopo di che, quando la civiltà non avrà più nulla da conquistare “…si tornerà alla barbarie, e se sarà possibile, alla natura per una nuova strada, e tutta opposta al naturale, cioè la strada dell’universale corruzione come ne’ bassi tempi…Il mondo allora comincerà un altro andamento, e quasi un’altra essenza ed esistenza” (Zib.,867). Leopardi ragiona da illuminista super illuminato, ma anche come chi sa leggere in filigrana i disegni della mente umana. Inspiegabilmente lui, che vive nell’angusto borgo di Recanati, analizza con piena cognizione di causa gli accadimenti del suo tempo in virtù di letture e studi approfonditi sulla storia dell’umanità, delle lingue, delle religioni. L’Europa, dunque, “…ora è una nazione governata da una dieta assoluta, da una perfetta oligarchia… errato volerla dare a tutti come patria comune… L’epoca della massima barbarie dell’Europa civile fu quella del dispotismo fra metà del Settecento e la rivoluzione francese” : qualcosa da aggiungere? Solo che il pensiero è diametralmente opposto a quello dei Grillo e dei leghisti ! Altra questione oggi dibattuta è la universalizzazione della lingua inglese e l’inevitabile sudditanza, in certo qual senso, della lingua italiana. Al tempo di Leopardi era il francese, “…che è lingua secondaria [comune]di tutto il mondo civile…. Ora, la massima parte di questo vocabolario universale manca affatto alla lingua italiana accettata e riconosciuta per classica e pura; e quello ch’è puro in tutta l’Europa, è impuro in Italia. Questo è voler veramente e sconsigliatamente metter l’Italia fuori di questo mondo e fuori di questo secolo…” (Zib. 1214-15). Il pensiero collima con quello del “semifallito” Guido Ceronetti (recente articolo su La Repubblica) circa il non riconoscersi più nella degradazione linguistica in atto nel nostro paese, anche dei giornali o della pletora di scrittori improvvisati. Leopardi sostiene a spada tratta la nobiltà della lingua italiana riprovandone nel contempo sia gli inaccettabili barbarismi sia l’accademismo. “…Si condannino (come e quanto ragion vuole) e si chiamino barbari i gallicismi ma non (se così posso dire) gli europeismi, ché non fu mai barbaro quello che fu proprio di tutto il mondo civile, e proprio per ragione appunto della civiltà, come l’uso di queste voci che deriva dalla stessa civiltà e dalla stessa scienza d’Europa”[Zib.1216]. E fa l’esempio di genio, sentimentale, dispotismo, analisi, demagogo, fanatismo, originalità, parole usate in tutto il mondo, insensatamente censurate in Italia dai puristi perché troppo moderne cioè di stampo straniero. Ci riserviamo di tornare sul Leopardi quando avremo visto il film di Martone. Al momento ci limitiamo a condividere le anticipazioni sul film circa la smentita delle la falsa letteratura proliferata nelle scuole di/su un Leopardi pessimista, sognatore solitario e altre banalità del genere prospettando, al contrario, l’altro Leopardi, quello più vero. Confermandone l’indole e lo spessore di un intellettuale trasgressivo, facile bersaglio dell’opinione pubblica -non solo della sua epoca- per non essere come molti lo avrebbero voluto: un allineato ed omologato. Leopardi era un diverso come tantissimi grandi poeti ed intellettuali, poeti, artisti lo sono stati (inclinazioni sessuali a parte) e in quanto tale scomodo. Era considerato un mezzo-uomo anche perché non ostentava la sua virilità, perché gobbo, ma soprattutto perché non risparmiava attacchi e contumelie al sistema, alla mala società della sua epoca. Purtroppo a scuola non viene quasi mai letta-frequentata La Palinodia al Marchese Gino Capponi (1835), prologo de La Ginestra (1836), dove con tono più esplicito rispetto a questa il poeta irride al trionfo di una malintesa modernità. “Aureo secolo…./Ogni giornale /gener vario di lingue e di colonne/Di tutti i lidi lo promette al mondo/Concordemente./…Ferrate vie, molteplici commerci, /Vapor, tipi e cholèra i più divisi /popoli e climi stringeranno insieme / Tanto la possa /infin qui de’ lambicchi e delle storte,/ E le macchine al cielo emulatrici /crebbero, e tanto cresceranno al tempo /Che seguirà; poiché di meglio in meglio /Senza fin vola e volerà mai sempre /Di Sem, di Cam e di Giapeto il seme”.Un nobile? Certo,veggente e profetico. Tanto più nobile perché, a parte il rango, disponeva di una nobiltà, dicasi genialità intellettuale e culturale elevatissima. Perché “faceva politica” non certo andando in piazza, ma con la forza delle idee, con la strage delle illusioni, degli “dei falsi e bugiardi”; oggi diremmo della “rottamazione” di tutti i responsabili delle cattive sorti dell’Italia. Che lui imputava alle “magnifiche sorti e progressive”(La Ginestra) citando con amara ironia e disprezzo un verso del “collega” lombardo Lorenzo Mamiani, un conservatore-moderato neanche tanto illuminato. Perché il suo sarcasmo era feroce, la sua intelligenza affilata e inattaccabile. Nel chiuso del suo borgo e del suo corpo sgraziato egli sapeva vivere, ad ogni buon conto anche divertirsi. Sì, Leopardi era capace di ridere e far ridere. Non solo con le “Operette Morali”, ma anche nel quotidiano: il suo foltissimo epistolario lo dimostra. Difficile asserire che avesse il senso dell’umorismo “inglese”, ma quello dell’ “ironia romantica” lo possedeva senz’altro (Hegel e fratelli Schlegel docent!). Che dire di quella arguta, bestiale Lettera della Befana, che ancora adolescente (data incerta 1810) indirizzò alla Signora Marchesa Roberti, forse metafora della stupidità, della prosopopea e del perbenismo di una società “borghese” tutt’altro che progredita. Una lettera invero alquanto mozartiana per l’irriverenza o impudicizia del linguaggio (vedi le lettere di Mozart). “Carissima Signora. Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti i Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figlioli…. ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’Anno gli porterò un po’ di Merda…..Dentro l’annessa cartina troverete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vostre mani… Poi con l’annessa chiave aprite il Baulle…Poi ci troverete tutti li corni segnati col rispettivo numero….Chi non è contento del Corno che gli tocca faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Voi poi Signora carissima avvertite in tutto quest’Anno di trattare bene cotesti Signori. Non solo col Caffè ché già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non fatevi pregare, perché chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra conversazione si chiamarà la Conversazione del Pasticcio. Fra tanto siate allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finché non toro ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo. La Befana.”
Per un ragazzino di dodici-tredici anni non c’è male (Leopardi nasce a Recanati nel 1798, muore a Napoli nel 1837. Nel 1939 i resti vengono traslati nel parco di Piedigrotta, presso la cosiddetta tomba di Virgilio). Si intravvede chiaramente l’ironia –spesso stupidamente negata dalla critica-, la sagacia e lo spirito ribelle connaturati alla sua indole. Ci piace concludere questo breve excursus con un pensiero del 1828 : che cosa significa essere intellettuale, poeta, artista contemporaneo? Certamente non significa rivolgersi agli addetti ai lavori, ma sicuramente a quanti sono disposti a maturare nei loro interessi, ad allargare i propri orizzonti conoscitivi. A questo serve la cultura concretamente intesa. Leopardi insiste: la cultura è il sale della società. Non lo dice espressamente, ma deduciamo che per lui come per ogni uomo di intelletto la cultura è “politica”. “Perdono se il poeta, se la poesia moderna non si mostrano, non sono contemporanei a questo secolo, poiché esser contemporaneo a questo secolo è, o inchiude essenzialmente, non esser poeta, non essere poesia” (Zib.2947). Se essere contemporanei significa rinunciare alla cultura, no grazie.
P.S. Se è vero che finalmente il governo Renzi riuscirà a riformare la scuola, ci piacerebbe che gli insegnanti avessero l’agio di adottare “Zibaldone” come libro di testo. Chi lo facesse sarebbe già meritevole di superare la prima fascia (ordinaria-media, se abbiamo ben compreso), almeno questo si prospetta. Ovviamente i sindacati non saranno d’accordo. Ne riparleremo!
Giorgio MaulucciTags: Alessandro Cozzolino, Giacomo Leopardi, Giorgio Maulucci
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