LICEO CLASSICO “IN BIANCO” (aspettando Gentile)
Bella iniziativa quella di Venerdì 16 gennaio al Liceo Classico “Dante Alighieri” di Latina e in altri licei d’Italia, all’insegna della “Notte bianca dei licei classici”; lanciata da Acireale e messa in rete; mentre il Ministero dell’istruzione continua a tacere e a farneticare sulle riforme. E’ stato un piacere ed una sorpresa tornare al Classico e respirare il clima degli anni passati, quando fervevano iniziative ed attività di varia umanità ed arte; constatare che l’organizzazione, l’intelligenza e la sensibilità dei docenti (di allora e di oggi), degli alunni e collaboratori ne attestano la consapevolezza della urgenza di proseguire sulla via del rinnovamento. Sono stati utilizzati tutti gli spazi della scuola Auditorium compreso, dove la manifestazione (dalle 19.00 alle 24.00) è stata introdotta da un concerto lirico con il cantante Dario Ciotoli, notoriamente bravo e molto applaudito. Significativi e coinvolgenti i dibattiti degli stessi alunni, degli interventi esterni, dei seminari; soprattutto il materiale fotografico, i prodotti (manuali, audiovisivi e multimediali), i “reperti” e documenti esposti o affissi negli appositi spazi a testimoniare la memoria storica e il presente del liceo. Sembra evidente che la apprezzabile e “geniale” iniziativa, di per sé costruttiva e stimolante per i giovani, avrà pur avuto come obiettivo il rilancio del Liceo Classico da più di qualche anno oramai sensibilmente in calo. Ciononostante, non solo per la nostra personale formazione d’origine (liceo, studi “classici”) e quindi come insegnante e dirigente, ma soprattutto per la contingenza storica, continuiamo ad essere convinti della validità e modernità di questo indirizzo di studi. A tale riguardo ci siamo sentiti confortati e risarciti dalle controdeduzioni e repliche di U. Eco in risposta all’attacco sferrato al Liceo Classico, per noi assolutamente insensato, dal prof. Andrea Ichino, il quale sostiene addirittura che questo tipo di scuola vada soppresso poiché “inganna”(sic) ed illude gli alunni non garantendo loro affatto quella conclamata formazione organica e a tutto campo richiesta dalla società contemporanea. Non sappiamo se Ichino viaggi sul filo dell’ ”aziendalismo” e pragmatismo berlusconiani, sicuramente su quello del “computerismo” ad oltranza, della matematica e tecnica al potere, e quindi della assoluta inutilità e imbecillità della cultura umanistica. Senza essersi posto la domanda se per caso essa non sia indispensabile a chi deve progettare il software di un computer. Il suo convincimento è che l’unico liceo moderno e vitale sia il liceo scientifico. Ironicamente e sapientemente Eco controbatte che “Il classico non preparerà meglio dello scientifico, ma prepara in modo eguale”. Per comprovata formazione ed esperienza siamo d’accordissimo con lui.
Due osservazioni e citazioni circa l’abolizione e la preparazione “in modo eguale”. La prima afferisce a Leopardi: “ Per un discorso sopra lo stato attuale della letteratura ec. –Togliere dagli studi, togliere dal mondo civile la letteratura, è come toglier dall’anno la primavera, dalla vita la gioventù”. (Zib., 6 marzo 1829). Atteso che “letteratura” vale per cultura umanistica, onnicomprensiva delle lettere, arti e sapere scientifico, è stupefacente e pregnante il paragone leopardiano a significare che essa è l’anima, il centro vitale della natura, della società civile e dell’uomo; insostituibile ed irrinunciabile. Non è da meno Eco nell’avvertire che “cancellare la cultura umanistica significa cancellare la memoria”, di cui oggi abbiamo soprattutto bisogno per salvarci dalle aggressioni della barbarie di ritorno. Ne era convinto Francesco De Sanctis per il quale la letteratura (leggi cultura) ha il “nobile ufficio di snodare l’ingegno de’ giovani…… di sentire il bello, di volere il bene, di pensare il vero”, tre categorie e strumenti di conoscenza e di vita indispensabili per capire ed agire. Essa, infatti, “alla breve ed angusta esperienza del mondo presente sostituisce la lunga ed ampia esperienza del mondo passato [….] Sotto il nome di letteratura si comprende non solo l’arte, ma tutto il vario manifestarsi dell’ingegno nelle diverse sue forme [….]. Ogni genere comincia dal bello, passa per il bene, finisce nel vero […] Fate che i giovani s’innamorino del bello; e senza saperlo, essi sono già innamorati del bello e del vero” (F. De Sanctis, Poche parole ai miei alunni, Scritti Giovanili, 1840-48). La seconda osservazione pertiene a Giovanni Gentile, la cui riforma (1923-24) configurò il liceo classico come la scuola per eccellenza (e non per questo fascista), atta a garantire quella formazione “eguale” di cui parla Eco. Un sistema disciplinare organico ed armonico, oggi non debitamente equilibrato sul versante scientifico. E’ pur vero che Gentile si pose il problema provvedendo ad annettere o integrare il classico con l’istituzione del liceo scientifico, parallelo più che separato. E’ altresì a tutt’oggi dimostrato che per quanto fosse limitato lo studio della matematica al liceo classico, nessuno dei futuri ingeneri, architetti, medici, chimici e affini ha mai dovuto pentirsi poiché la formazione “eguale” avuta li ha garantiti appieno anche sul versante scientifico (almeno fino ad un data epoca dell’era contemporanea). Fermo restando ciò, secondo Eco è oramai improcrastinabile ed irrinunciabile che questo liceo vada urgentemente riorganizzato e sintonizzato sull’onda della contemporaneità. Pertanto auspica (provocatoriamente od utopisticamente) l’abolizione del liceo scientifico e l’istituzione di “un’unica scuola umanistica e scientifica”; non solo, ma anche la revisione dell’insegnamento del Latino e del Greco: “dialogare in latino ovviamente elementare”; approccio alla traduzione “dal greco della koiné e di quello che anche Cicerone parlava”; lo studio della Storia dell’Arte nel quinquennio. Siamo grati ad U. Eco per avere convalidato quanto oramai dieci anni or sono si è realizzato al Liceo Classico “Dante Alighieri” con la Sperimentazione dell’Autonomia e relativi indirizzi: Classico-Moderno/Copernico (potenziamento Mat. e Fisica, curvatura scientifica del Latino e Greco); Umanistico/L.B.Alberti, Beni Culturali/Raffaello; Cinematografico/G. De Santis.; Storia dell’Arte biennio-triennio.
La proposta di Eco (unificazione dei due licei) sembra collimare con la visione (Weltanschauug) unitaria ed organica della filosofia “attualistica” di Gentile, da questi concretizzata peraltro nella colossale impresa della Enciclopedia Treccani (1929-37). Che Piero Gobetti (socialista-comunista) salutò come “il risultato culturalmente e praticamente più fecondo” in fatto di organizzazione della cultura. Norberto Bobbio disse che per una simile impresa culturale fu ottenuto il consenso, la cui organizzazione non si persegue col manganello (ai suoi collaboratori non fu chiesta la tessera del partito). Triste coincidenza volle che Gramsci, la più feconda e brillante testa pensante che l’Italia e il Novecento abbiano avuta, morì nel 1937, anno della pubblicazione dell’ultimo volume dell’Enciclopedia, in una clinica romana. Il fascismo presunse che quella testa, in prigione, cessasse di pensare. Anche Gentile era una testa pensante (“diversamente” da Gramsci); la sua è stata una riforma pensata, che non fu compresa né dagli insegnanti né dalle famiglie. Il liceo classico classista ed elitario? Giacomo Devoto, Norberto Bobbio, implicitamente Gramsci furono meno categorici in proposito ragionando sulla valenza culturale prima che politica della riforma. Fascista? Storicamente senz’altro stando all’anagrafe del filosofo così come, per lo stesso motivo, Marx è romantico (N. Sapegno, Compendio storico della letteratura italiana), il quale però non si riconobbe nell’ideologia borghese del Romanticismo. Gentile, invece, fu ideologicamente fascista benchè intellettualmente “superiore” alla media degli ideologi del suo tempo. Che dire di Pirandello? Per essere un gentiliano dovremmo forse definirlo fascista? Per quanto Gentile fosse in linea col regime, riguardo alla “architettura” della sua riforma progettò e realizzò indubbiamente uno degli “edifici” più solidi e funzionali della scuola. Eguagliabile in modernità ed intelligenza soltanto alla proposta di riforma di Beniamino Brocca, andata in vigore dopo un lungo e laborioso iter agli inizi degli anni ’90. Purtroppo introdotta come sperimentazione e come tale fagocitata dal pachiderma ministeriale, inflessibile nel mantenere lo statu quo. Gentile peraltro criticò e contrastò Benedetto Croce, che era liberale e restituì la tessera del partito. Ne infranse la dialettica dei “distinti” secondo la quale scienza ed arte, poesia e non poesia, realtà e fantasia erano due mondi a sé stanti. Propugnò l’unitarietà della cultura e del sapere che devono incidere nel reale, nell’atto presente in cui il concreto e l’astratto si compenetrano. Sdoganò Leopardi dai lacci dell’idealismo (crociano) e cioè del pessimismo a tutti i costi, dell’idillismo restituendolo alla vita e alla storia del suo tempo come persona vera e non “fantasma poetico”; anticipando la nuova critica leopardiana (marxista) inaugurata da C.Luporini, Sapegno, Binni. Suggestionò sia Gobetti (che lo aveva definito un “cane morto”) e Gramsci, il cui lessico critico-filosofico a più riprese riflette l’attualismo di Gentile. “L’esser non può essere disgiunto dal pensare, l’uomo dalla natura, l’attività dalla materia, il soggetto dall’oggetto” (Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce). Sia Gramsci sia Gobetti sono stati loro malgrado, inconsciamente o no, influenzati dalla filosofia della prassi (ereditata dalla filosofia tedesca) di Gentile. Alla sua visione “indistinta” (attualistica) della cultura sembra corrispondere quella “preparazione eguale” nei contenuti e nei saperi di cui parla Eco, che il liceo classico di allora ha potuto garantire ed una scuola modernamente umanistica (secondo l’accezione originaria di Umanesimo/Scienze e Lettere) potrebbe garantire oggi. Dove passato e presente siano intesi nel senso e col sentimento di Gramsci, rielaborati e vissuti all’insegna della “fantasia concreta”, in linea con l’ideologia e la politica.
L’opera di Gramsci è stata tradotta in tutte le lingue, da ultimo (integralmente) in Cina e prima ancora in Inghilterra, America e altri paesi europei ed extraeuropei. Nella scuola italiana, invece, non si studia poiché non contemplato “nel programma”; tutt’al più se ne parla grazie al buon cuore di docenti illuminati e responsabili, come accadeva tanti anni fa quando il pregiudizio anticomunista era forse più comprensibile. Ma oggi? A dire il vero non si studia neppure il De Sanctis e il Croce artefici primi pur se divergenti della storia della letteratura italiana (1871, 1914), col non lusinghiero risultato che i nostri alunni, dopo tre anni di intenso studio letterario (manualistico), non sanno rispondere alla domanda: che cos’è la letteratura?! E il teatro? Dopo Goldoni e Pirandello il diluvio. Il teatro moderno e contemporaneo poi, nella scuola, si limita a Pirandello, solo Pirandello, nient’altro che Pirandello (con tutto il rispetto); forse qualche docente partenopeo accenna ad Eduardo! E Brecht? Per novità, consistenza e produzione è l’unico che possa competere con il nostro “autore” per eccellenza; in anni passati un eretico da bandire per essere comunista, oggi tranquillamente ignorato perché non contemplato, neanche lui, nei programmi! La scuola italiana non cambia. Pertanto la proposta di Eco, specie per l’insegnamento del Latino e Greco –e, aggiungiamo noi, della letteratura italiana- è inattuabile finché i docenti saranno costretti a muoversi in un sistema chiuso, che non prevede alternative radicali al di là delle miniriforme (abortite) e sperimentazioni. Che non sono valse, purtroppo, a scardinare il fin troppo consolidato assetto ministeriale e governativo di una scuola fuori tempo. Di cui il liceo classico paga pesantemente le spese poiché le lettere continuano a non essere “annesse all’umano sapere come le forme alla materia” come scrive il Foscolo, sensista-materialista, che accarezzò a lungo il progetto di una “Storia della letteratura contemporanea” intesa come “utile letteratura”, modello indiscusso per il De Sanctis; entrambi a loro modo gramsciani e gentiliani ante litteram.
Il Liceo Classico, dunque, oggi è in crisi – “in bianco”-, per non esserci un altro ministro con la testa pensante di Gentile o di Francesco De Sanctis; il quale, a proposito di insegnamento e di letteratura diceva/scriveva: “Non si governa coi libri, ma col mondo”. L’Italia, purtroppo, è uno strano paese. Gli Italiani sulle prime sembrano consapevoli della necessità di cambiare, ma il loro sistema politico è tale da ritardare ogni volta i cambiamenti o finisce per farli annegare in un mare di norme insufficienti o contraddittorie. Foscolo scriveva che “L’Italia è cadavere, e non va tocco né smosso più omai, per non provocare più tristo il fetore; e odo talvolta alcuni pazzi che vanno fantasticando vie di resuscitarla; per me invece la vorrei seppellire meco, e innondata da’ mari, o arsa da qualche nuovo Fetonte…e che le nazioni presenti e avvenire si dimenticassero l’infamia del nostro secolo”. Così nella “Lettera Apologetica” (1822?) a proposito del fallimento della rivolta antiaustriaca capeggiata da alcuni suoi amici (1814). Ancor più eloquente ed attuale F. De Sanctis, scettico e pessimista circa la possibilità del cambiamento, nello specifico riguardo al Ministero della Istruzione. “…Dopo di lui [ministro] viene un altro, con nuovi propositi, e quasi come reazione al ministro antico. Ecco mettere da parte studi e progetti; ecco iniziare nuove ricerche, fantasticare nuovi disegni, finché giunge il capitombolo anche per lui, viene la crisi! E così in Italia niente dura, niente matura, e, appena ordita, la tela si rifà da capo. Noi non facciamo che gettare acqua in una botte senza fondo, e questa botte senza fondo è l’instabilità del potere. Questo vuol dire la crisi. La quale non è già invenzione della Sinistra; è malattia politica […] Dal 1860 in poi, quanti Ministeri caduti, quante ambizioni eccitate, quanti gruppi dissidenti, quanti gruppi personali! Ah! Questa storia di gruppi e di crisi non è storia nuova, è la vecchia malattia che rode l’Italia, si chiama instabilità del potere”. Negli altri Stati costituzionali (Francia, Inghilterra), prosegue De Sanctis, “caduta di Ministero vuol dire caduta di partito. Presso di noi, per una fatale condizione di cose, il Governo è rimasto per sedici anni nelle mani di un solo partito; i ministri si mutavano; il partito restava in piedi […] Quando c’è sicurezza della successione, dicono: -Cadranno loro, verremo noi-. E nasce la lotta del potere per il potere, e si mutano le persone e non si mutano principi. Ricordo di aver detto un giorno in Parlamento: -il maestro di cappella muta spesso, ma la musica è sempre quella-“ (I partiti e l’educazione della Nuova Italia, Il discorso di Foggia, 1880). Conclusioni: alle prossime elezioni voteremo alla memoria: Giovanni Gentile deputato-ministro all’Istruzione, Francesco De Sanctis Presidente della Repubblica (!). Al momento altri nomi e personalità dello stesso calibro non sembrano emergere.
Giorgio Maulucci
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