PIETRO INGRAO: “DIPLOMA DI VECCHIAIA” CON 100 E LODE
Tutti lo ricordano, tutti lo rimpiangono. Recentemente, Giampaolo Pansa ha detto che l’Italia di oggi è lo specchio o il risvolto di quella del 1948, con la differenza che, allora, c’erano uomini della levatura di un De Gasperi, oggi no. Dunque, il rischio conclamato, per il paese, di un non ritorno poiché non ci sono più uomini capaci come quelli di allora. Per le persone della mia generazione, Pietro Ingrao è stato uno dei grandi maestri insieme ai Sapegno, Argan, G.Macchia, R. Bianchi Bandinelli, Paratore (l’unico, tra tanti nomi, tendenzialmente di destra) etc. Maestri ai quali si deve la formazione intellettuale, umana, etica; i quali, direttamente o indirettamente, ti hanno insegnato a leggere e capire Marx, Engels, Gramsci, Gobetti, Galvano Della Volpe. In sintonia con altre grandi personalità che hanno segnato la storia del Partito Comunista italiano, diciamo pure cervelli della sua statura tra cui Enrico Berlinguer. In particolar modo, Ingrao contribuì non poco col suo esempio, la tempra e lo spessore intellettuale, a convincerci di essere comunisti come oggi nessuno dei politici in carica potrebbe e saprebbe indicarci. Che i tempi siano cambiati è indubbio, ma restano invariati i principi di equità e giustizia sociale, di solidarietà e medesimezza umana verso gli “indigenti” di tutte le razze, di ogni paese. Paradossalmente, l’operato di Papa Francesco ha “riesumato” non già lo spettro, bensì il senso vero, socialmente evangelico di “comunismo”. Che, di certo, non è quello sovietico o staliniano, ma senz’altro più forte, nello spirito e nel concetto, di quello della Neo Sinistra; alla quale dovrebbe essere di monito Dalla quale, da gran signore , lo stesso Ingrao prese le dovute distanze. Se il suo essere comunista intransigente non s’usa più, il senso del “comune”, però, ovvero della tutela della dignità della persona e del lavoro, della cosa pubblica idest collettività, sono aspetti/concetti niente affatto superati. Il passato, se lo lasci strare dov’era, non è più passato bensì una tomba. Papa Francesco, dunque, avrebbe “riesumato” –vivificato?- il comunismo dalla tomba (!).Ovviamente, nei modi e nei termini che gli competono. A confronto dei grandi padri come Ingrao, Renzi è un “pupo”, i ribelli da strapazzo (anarchico-fascisti) dei nani deformi, questi sì, da rottamare. Non basta pensare-dire che sia possibile fare delle cose, bensì è necessario che si azzardi a pensare come sfidare l’impossibile, aggredendolo per capovolgerlo (Ingrao, saggio: “Le cose impossibili”). Il “pupo” Renzi si limita a parlare dell’ impossibile-possibile sottacendo che non potrà/saprà cavalcare l’impossibile ad oltranza. Solo un uomo di profonda cultura e rara sensibilità e capacità politiche può farlo. Sena cultura –specie quella d’un tempo- è molto improbabile se non impossibile essere dei politici di razza. Laureato in Lettere e Filosofia, esperto di cinema( frequentò il Centro Sperimentale di Cinematografia, a Roma), Ingrao è stato un vero “umanista” avendo introiettato il senso antico, diremmo etimologico ed ontologico di humanitas: nella latinità classica, il comportamento e l’aspetto dell’uomo –dell’essere- in ogni implicazione privata e pubblica. “Eravamo quasi tutti figli di piccola e media borghesia, e- nel nostro modo- giovani intellettuali abbeverati a due filoni culturali: al crocianesimo e alle sperimentazioni del decadentismo europeo: da Brecht a Kafka e poi a Joyce; e alle spalle Freud e Schoenberg, per fare solo alcuni nomi. Piaccia o no, i primi passi di quell’incontro formativo e politico, in parecchi casi, si compirono paradossalmente in quei ludi universitari fascisti. Là alcuni giovanissimi andarono a cercare i loro possibili compagni di lotte. I Littoriali di Firenze si tennero nel ’34. Ai Littoriali di Roma, e poi a quelli di Napoli ci fu una ricerca consapevole di incontro e dialogo fra giovani che cominciavano a cospirare, e in ogni modo a fare i conti con la politica, nella stretta sanguinosa che si appressava”: dal suo memoriale “Volevo la luna” (Einaudi, 2006), un libro “storico” e , al tempo stesso, poetico, gravido di umanità e intenso sentire. Dal quale si apprende la grande lezione politica di Ingrao, di un comunismo né fideistico né settario, bensì frutto di una esperienza di vita vissuta attraverso l’assiduo addestramento al vivere civile, alla solidarietà e al rispetto dell’uomo. Proteso a combattere l’ingiustizia sociale, a battersi per la eguaglianza e la parità dei diritti. A capire che abolire l’assurdo discrimine tra sfruttati e sfruttatori non significa “volere la luna” bensì, sul piano sociale, che “un uomo è un uomo, una bestia non è “ (Brecht). La mia generazione, dunque, è debitrice a quei comunisti illustri (di allora) per due fondamentali motivi: etico-sociali e culturali. Figure come quella di Ingrao -e Giancarlo Pajetta: “Indimenticabile fu l’incontro con Giancarlo Pajetta. Era uscito dal carcere di Civitavecchia […]. E attorno a sé aveva un’aura di leggenda, che nasceva prima di tutto da quella sua giovinezza così precocemente proiettata nella lotta” (ibidem)- hanno dato il senso alla nostra giovinezza e maturità. In vecchiaia, ci fanno sentire ancora più orgogliosi di essere appartenuti ad un passato che il presente ha tentato di oscurare, deturpare o svillaneggiare ma che, per fortuna, resiste e riemerge ogni qual volta la realtà, vichianamente, lo riafferma. Grazie anche ad esempi assai nobili come quello di Pietro Ingrao, si è incoraggiati ad affrontarla ancora con una rabbiosa energia (!). Da uomini di scuola quali siamo stati (e continuiamo a sentirci), sentiamo di dover consegnare idealmente (alla memoria) a Pietro Ingrao un “Diploma di vecchiaia”, conseguito il 27 settembre 20015 con Cento e lode e menzione speciale….. E che lui, nostro Padre laico, sia sempre lodato per il suo alto magistero.
Giorgio Maulucci
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