“SAN GIOVANNI DECOLLATO”

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Di-Giorgi-ultimo-spettacoloIl celebre dipinto del Caravaggio, che gli fece guadagnare l’onorificenza dei Cavalieri di Malta (dove si trova la tela), è un paragone troppo illustre rispetto al personaggio di riferimento, il sindaco Giovanni Di Giorgi, sfiduciato dal Consiglio Comunale di Latina (PD, Forza Italia), ma basti a rendere l’idea. Sotto certi aspetti si prova per lui un sentimento analogo a quello provato per il Don Abbondio manzoniano, un sentimento misto tra la riprovazione e l’indulgenza per la sua debolezza, il suo essere e non essere. A dire il vero, all’origine, egli non era molto convinto di mollare la Regione per candidarsi a sindaco. Berlusconi, la Polverini lo forzarono e sponsorizzarono con forza. Lui cedette divenendo inevitabilmente un vaso di coccio tra le proverbiali botti di ferro. Né trionfante né consapevole si avventurò illuso di poter navigare a vista in acque tempestose ed avvelenate. Evidentemente è stato travolto dalla sua im-becillità (etimologicamente in=non-baculum=bastone: senza bastone, dunque, malfermo), dalla sua scarsa cognizione politica. In altre parole, maldestro ed “ingenuo” immaginando che una città come Latina potesse governarsi con espedienti o manovre di facile illusionismo prospettico. Non prestando ascolto a persone  probe o d’intelletto affidandosi, invece, ai “consiglieri” fraudolenti. I quali se lo sono cucinato ben bene e lo hanno condotto dritto dritto, giorno dopo giorno, al girone infernale più basso, quello della frode contro chi si fida (Dante, Inf. IX cerchio). Nel nostro caso, i cittadini che l’hanno votato, frodati insieme agli altri della buona gestione della cosa pubblica. Dire che sia stato il peggior sindaco della serie che la città abbia avuto, forse, è troppo. Togliendo e aggiungendo qua e là, a ciascuno dei suoi predecessori, i meriti (pochi tranne che per uno –Nino Corona-, massimo due o tre?) e i demeriti (tanti per la maggior parte), con lui si addiviene ad una certa compensazione. Indubbiamente, è stato miope, pressoché inesistente, da ricordarsi come “Il sindaco che non c’era”. Che ha reso fantasma pure la cultura trattenendo per sé finanche la delega all’assessorato. Tuttavia, lontani dal volerlo assolvere, ancora una volta guardiamo alla città ed ai suoi cittadini e torniamo a chiederci che tipo di persona-sindaco vorrebbero soppesando gli altri (fino a Zaccheo) plebiscitariamente da loro votati. Una città dal tessuto sociale devitalizzato o narcotizzato, i cui cittadini sembrano non essere cresciuti, quindi, storicamente “immaturi”; consciamente o inconsciamente attratti -a seconda dell’età- da palustri nostalgie o riverberi fascistizzanti. Non che sia l’unica città italiana ad essersi consegnata, allineata e compatta, alla destra indi alla dc (mutazione naturale, con apprezzabili vantaggi al tempo di Vittorio Cervone, come molto bene scrive Stefano Mangullo nel suo libro “Dal fascio alla scudo crociato” nell’Agro Pontino, 1944-1961). Ma nel suo DNA deve esserci un che di particolare dovuto, forse, alla sua nascita “recente”, che la contraddistingue come “città nuova” che fatica a maturare storicamente e culturalmente (in senso lato). Si rifletta su un particolare non certo di poco conto: la città, durante il mandato Di Giorgi, ha mai avvertita l’assenza -la sottrazione- di un assessore alla cultura? Di un responsabile artistico del teatro e conseguente gestione di esso digerendo, peraltro, gli episodici, grotteschi “siparietti” di Barbareschi e Costanzo)? A dire il vero, oggi, sembra soddisfatta di avere un “carrozzone” dei divertimenti che proceda all’impazzata, col precipuo obiettivo di fare cassa ad ogni rappresentazione (che ci sia pure qualcosa di buono, è un fatto puramente casuale). Non entriamo nel merito della amministrazione e gestione della città, a dir poco spaventevole, a dirla tutta, assolutamente scriteriata. E’ davvero il caso di parlare di una “commedia all’improvviso”: le piste ciclabili in città, funghi spontanei da “cogliere”(percorrere) con circospezione, l’isola pedonale come “isola dei morti” (Boeklin non c’entra!) nei giorni feriali; i parcheggi, i semafori non sincronizzati; i giardini selvaggi; la ristrutturazione del lungomare, un “periodo” sospeso, contrassegnato da virgola anziché un punto fermo; praticamente incompiuta. Così come incompiuto rimane ancora il decoro  e l’assetto urbano. Insomma, una serie di “improvvisazioni” che depotenziano l’identità culturale della città e la stessa qualità della vita. Arriverà un Commissario come accadde (per Zaccheo) con l’ex Prefetto Guido Nardone, una parentesi salutifera trattandosi di persona culturalmente autorevole e qualificata, integerrima e disinteressata. Dovette gestire la grana della cosiddetta metropolitana (e non parliamo dei conti del bilancio). Non ce ne voglia Zaccheo ma non l’abbiamo mai capita né digerita, una delle tante “genialità” incomprese (vedi pure la inconcludente Fondazione-teatro) che, tra il lusco e il  brusco, hanno dato lustro (?!) alla città nel corso degli anni. Al punto in cui siamo arrivati, è malinconico dover sperare in un altro Commissario, presumiamo all’altezza del suo compito, il quale dovrà tentare di porre un temporaneo rimedio al disastro di una città completamente disastrata. Colpa del sindaco, è vero; colpa dei politici infingardi e faccendieri (fatte salve le eccezioni: opposizione, altri guidati dal buon senso comune), è vero. Ma gli elettori? Sono pronti a giurare che lui/quelli sembravano affidabili e garantiti. Certo, le elezioni servono per mettere alla prova gli eletti (così è stato per un Berlusconi di lunga durata). Rispetto al paese Italia, però, nell’ambito circoscritto di una città, le prove sono più concretamente prevedibili conoscendosi il curriculum vitae e comportamentale delle persone in ballo. “San Giovanni decollato”, appunto. il Battista attaccava Erode Antipa perché convivente con la cognata Erodiade, madre della bella Salomé, che danzò per il re  chiedendogli come premio la testa dell’evangelista, di cui si era invaghita e da questi rifiutata; la testa le fu portata su di un vassoio d’argento. Possibili  le analogie con la triste vicenda del nostro Giovanni  (Erode= Fazzone, Erodiade= Forza Italia, Salomé=PD, che ha “danzato” sulle punte, senza veli!). Anche la storia/leggenda del santo è un caso politico bell’e buono, di sopraffazione ed arroganza del potere. Nella storia cittadina è l’ennesimo caso di mala-politica, di cui gli stessi cittadini sono corresponsabili non poco. Furono unanimi, allora, nel votare Di Giorgi, sono unanimi, oggi, nel gridare a quale scandalo? Più che a quello di un sindaco inetto, diremmo che dovrebbero gridare allo scandalo permanente di una città essa pure “decollata”(senza collo-testa), finora mai riuscita a decollare (staccare-spiccare il volo) per l’inerzia della collettività. A questo punto, tagliata la testa a Giovanni, comincia la festa e che festa sia davvero. Non vorremmo ritrovarci a cantare (con Sergio Endrigo d’un tempo), però, “La festa cominciata è già finita….” e cioè tornare a piangere dopo la festa. Per una città come questa, infatti, l’ora del riscatto suona come una festa e perciò ci spiacerebbe smorzare gli entusiasmi di quanti tra i più giovani consiglieri del PD si sentono, con buona ragione, risarciti specie per l’impegno da loro profuso. Ma, con tante scuse, prima di tirare un sospiro di sollievo, per scaramanzia, al momento lo tratteniamo. E a certi politici meno giovani diciamo quel che la Magnani disse a Fellini nel finale di “Roma”, chiudendogli sorniona il portone quasi in faccia:  “A  Federì, va a dormì, non mi fido”!

Giorgio  Maulucci

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