STRACCIONI E STRACCIATI DI IERI E OGGI
“Operetta degli stracci” è il terzo spettacolo che proponiamo nella C.C. di Latina (prima rappresentazione Venerdì 6 marzo, ore 14.30), con le attrici-detenute, parte delle quali hanno consentito di formare un gruppo “semistabile”, di garantire, quindi, una continuità ed una progressiva crescita personale ed artistica delle medesime. Ciò ha favorito anche l’agevole inserimento di quegli elementi che si sono avvicendati nel corso dei tre anni. Una conferma, questa, della utilità e positività di un gruppo coeso e responsabile; animato non solo dalla curiosità, ma soprattutto dal piacere e dalla consapevolezza dell’essere “professionali”. Il primo spettacolo (Vedersi dentro, 2010-11) è stata una “improvvisazione”, più che altro una lettura interpretativa di testi scritti dalle stesse detenute, drammaturgicamente risolti; una messa a nudo del vissuto di ognuna di loro. Il secondo (Siamo donne. Nella commedia della vita), una “esercitazione” teatrale basata su alcuni spezzoni di celebri testi-commedie (Euripide, Aristofane, Eduardo, Pasolini, C. Porta, Brecht), opportunamente adattati all’humus culturale e alle caratteristiche delle attrici; amalgamati e letti alla luce della contemporaneità; sottesi dal filo rosso della satira, della critica o contestazione. Quest’anno, secondo il processo/metodo della gradualità, siamo approdati alla “verifica” delle precedenti esperienze scegliendo un testo compiuto, di un autore squisitamente elegante eppure popolare. Una commedia incentrata su un problema senza tempo quale è l’ingiustizia, l’arroganza del potere economico e non : “The Beggar’s Opera” (L’opera del mendicante) di John Gay (16385-1732), prima rappresentazione a Londra 29 gennaio 1728. Una violenta satira politica contro i whigs (proprietari terrieri) e il mercantilismo, in particolare contro il primo ministro whig Walpole (proibì la rappresentazione del seguito, “Polly”, uno dei personaggi dell’Opera). I mendicanti di Gay sono i “nuovi eroi” dell’epoca, l’altra faccia della classe alta di allora; il segno di un mondo alla rovescia in cui i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveracci (la classe media di oggi) sempre più poveri. In cui i cosiddetti “perbene” sono gli affaristi e trafficanti del malaffare, autentici delinquenti. Non è un caso che Brecht abbia ricalcato su quest’opera la celeberrima “Opera da tre soldi”, lasciando inalterato il plot e i personaggi, ambientandola nel 1929 (crack della borsa di New York); virando dalla denuncia e critica del mercantilismo a quella del capitalismo; ambientando le prime due edizioni (1956, 1973) in America, quella del 1986 nella stessa Londra di J. Gay. Sull’esempio di Brecht abbiamo lasciato pressoché inalterato il testo originale (ridotto per comprensibili ragioni pratiche) connotandolo, nei limiti dei riferimenti plausibili, di sfumature o allusioni inerenti alla situazione storica attuale. Autorizzate ed avvalorate dal “rimpasto” brechtiano, affatto naturale e pertinente, da noi operato soprattutto nei Song e nel finale oltre che dalla coinvolgente partitura di Kurt Weill (Ouverture, 2° finale “Opera da tre soldi”). “The Beggar’s Opera” aprì la strada alla ballad-opera, al Singspiel e quindi al moderno musical. A ragion veduta abbiamo pensato ad una sorta di ”operetta” in cui la musica per così dire colta (Weill, Verdi) si mescola con quella cosiddetta leggera (Modugno, Rustichelli, Bovio, altri). Peraltro il compositore originale delle arie della “Beggar’s Opera”, J.C. Pepusch, non soddisfò particolarmente l’autore che le trovò poco vivaci. Oggi si preferisce utilizzare arie originali, dalla valenza popolare, comprese nella song collection dell’epoca equiparabili, con beneficio d’inventario, alle nostre canzoni-canzonette. Quanto alla partitura lirica vera e propria, nelle rare rappresentazioni oggi allestite, viene utilizzata quella di Britten. Moni Ovadia, regista e protagonista dell’allestimento al Teatro Piccinni di Bari (2005), ha puntato prevalentemente sul Singspiel ovvero sull’opera per metà cantata, per metà recitata; sulla parodia burlesca, sulla sontuosità scenografica. Per ovvie ragioni noi ci siamo adeguati alla disponibilità dei mezzi privilegiando soprattutto il lavoro educativo (e-ducere, tirar fuori) ed emotivo sui soggetti attori.
Anche per il linguaggio ci siamo attenuti alla semipopolarità dell’originale, che affonda le radici in una fascia media, tipica dei parlanti, magari approssimativamente dialettale ma non gergale. Ricorrendo a qualche intercalare partenopeo vista la provenienza della maggior parte delle attrici, eccezionalmente al calabrese (per le pari opportunità!). Il senso o messaggio/metafora della “Operetta degli stracci”, dunque, è desunto dalla realtà e attualità sociale così della cronaca come della politica. Lo stesso Gay fa riferimento alla polizia e magistratura corrotta, al ripetersi di scandali sotto gli occhi di tutti fino all’episodio più clamoroso, l’impiccagione di J.Wilde (1725), capobanda e confidente della polizia. L’equivalente del quale, nell’opera, è il personaggio di Mcheath il cui nome rimanda all’idea di chi vive alla macchia (heath > macchia, landa) come accade, realmente e non, per tanti “alti papaveri”. Mcheat, infatti, può essere il prototipo del boss mafioso, dell’incallito evasore fiscale, dell’insospettabile politico o uomo d’industria che ha rubato etc. Agli occhi della gente comune un “eroe” sui generis (ogni allusione al ben noto personaggio che E. Scalfari, qualche anno fa, paragonò al Mackie Messer de “l’Opera da tre soldi”, è puramente casuale!). Un personaggio chiave è quello di Peachum, rappresentante esponenziale del self interest (l’interesse individuale); molla del successo e fondamento socio-economico del mercantilismo di allora, del capitalismo del XXI secolo, del potere delle banche. Gli “straccioni” dello spettacolo, quindi, sono i “poveri cristi” di oggi tartassati su ogni fronte. Ovviamente, c’è anche un’attinenza con le condizioni delle carceri italiane, gli spazi detentivi sottodimensionati, i rischi di emarginazione sociale. Nel Seicento i mendicanti erano un fenomeno sociale di vaste proporzioni, che passavano dall’accattonaggio al furto e all’omicidio non potendo fare affidamento sulla pubblica assistenza o sulle parrocchie. Ribaltando ad oggi la situazione, le carceri non sono debitamente considerate né dalla società né dallo Stato. E con esse le condizioni dei detenuti, “mendicanti-straccioni” sotto altre spoglie.
Per la scenografia e i costumi si è convenuto orientarsi sull’astratto evitando di localizzare l’ambientazione né socialmente né temporalmente. Di qui i pannelli ispirati a Burri, Pollock; la plastica e la iuta, emblemi di povertà e consumo a seconda dell’uso etc.; naturalmente gli stracci, elemento connotativo dello spettacolo. In quarta di copertina del presente pieghevole, il dipinto “L’opera del mendicante” del grande pittore e disegnatore inglese William Hogarth (1697- 1764), “pittore dell’umanità”, una citazione d’obbligo. E’ stato il genio satirico dell’epoca, contemporaneo di J. Gay, di cui apprezzava la verve e l’umorismo. Hogarth ritrae un momento dello spettacolo (cui assistette): un pesante sipario con al centro lo stemma reale incornicia a tutto campo il quadro; i palchi di proscenio ospitano gli spettatori accanto agli attori. Il dipinto è ambientato nella prigione di Newgate, dove sono riuniti i cinque protagonisti principali, Macheath al centro, tra Lucy e Polly che se lo contendono, Lockit a sinistra, Peachum a destra. “
Giorgio Maulucci
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