TEATRO ITALIA O DELL’ASSURDO
“Per rifare l’Italia bisogna disfare le sette” (U. Foscolo) “Faccian li Ghibellin, faccian lor arte /sott’altro segno, ché mal segue quello / sempre chi la giustizia e lui diparte” (Dante). Non è per il gusto della citazione né per deformazione professionale (siamo stati insegnanti) che insistentemente rivanghiamo il passato e i grandi autori che l’hanno reso glorioso, ma per la verità e attualità di pensieri, critiche o sentenze di quelli sulle condizioni e meschinità di un paese straordinario che, probabilmente, non ha saputo o potuto essere normale. Sempre litigioso e fazioso, governato o dominato da una classe politica che ha distorto, strumentalizzato, deviato la politica. Forse perché “In cuore di ogni italiano c’è un poco di guerra civile” (Massimo D’Azeglio). Francesco Crispi diceva che “l’Italia è il paese delle fazioni ”. Un paese, aggiungiamo noi, dove la politica è stata ed è “incolta”, la cultura “impolitica”. Dove la democrazia, il civismo e il senso della collettività sono stati sempre latenti o in letargo, un’approssimazione. Una caratteristica, questa, da sempre riaffermata. Montanelli diceva che l’Italia è il paese del nulla, dove prevale l’inutile. E’ vero: Salvini, Grillo, le riforme mai concretizzate, l’insostenibile inutilità della televisione tra cucine, arene dominate dallo starnazzamento, duopoli e spartizioni di varia natura. Che altro manca? Un Duce, ovviamente diverso da Renzi. Sì, perché gli italiani, come scrisse Ennio Flaiano, hanno un terribile bisogno del Padre, ma sono refrattari nel rispettare le regole salvo ad essere costretti dal manganello, di ferro (Mussolini), aggiungiamo noi, o di gomma (Berlusconi). Non capiamo, quindi, la insurrezione avverso l’autoritarismo di Renzi il quale, in superficie, potrà essere anche eccessivo o invasivo ma, ad onor del vero, non smentisce il bisogno di “paternità” degli italiani. Per i quali vorrebbe venissero rispettate le regole brandendo anziché il manganello un semplice scudiscio. Un dato è certo: determinate riforme -meglio dire provvedimenti- da tempo immemorabile vagheggiate, solo oggi è stato possibile attuare sia pur faticosamente. Certamente imperfette, presumiamo perfettibili. L’appellarsi delle parti avverse alla democrazia sa sempre più di demagogia, di ostruzionismo e rivendicazioni personalistiche o poltronistiche. Il personaggio Salvini incombe e impazza come un tribuno assetato di leadership, alter ego alla rovescia, per logorrea, di Renzi. Con la differenza che questi argomenta machiavellicamente le sue mosse e decisioni, quello con spavalda sicumera rielabora tesi ora leghiste ora lepeniste, dal sapore fortemente qualunquista o neofascista, a scelta. Le sue affermazioni circa la convivenza/condivisione con casa Pound per la rifondazione della Nuova/Giovane Italia (la loro) sono risuonate farneticanti: al di sopra delle parti, né fasciste né neonaziste né estremiste, praticamente “angeliche” cioè indefinite. Un tribuno che tenta di azzerare Renzi e, se ancora ha un senso, Berlusconi insieme a qualche pretendente vetero leghista. Insomma, di sprofondarli ventimila “leghe” sotto il mare nostrum (!). Nella nostra ingenuità, in fatto di manganelli, scegliamo Renzi il quale, come fu per Dante (vista la fiorentinità), almeno la cura, per l’Italia, l’avrebbe individuata. Manca ancora il medico, che per una curiosa coincidenza Dante aveva erroneamente individuato in Arrigo VII di Lussemburgo -guarda caso un tedesco- dunque in un “duce” (imperatore o monarca). Medico (chirurgo/ primario!) che Renzi ha creduto di riconoscere in se stesso, ma non ne possiede i requisiti “scientifici”. Che dire di questo PD eternamente frastagliato e frantumato, al quale non sono bastati gli innumerevoli errori, la miopia e le perverse manovre dei D’Alema e Bertinotti. Il quale PD ha presto mandata in frantumi (in gergo, a puttane) la gioiosa, rinsaldata coesione interna avvenuta con/per la elezione di Mattarella. Riproponendo il frusto copione dei guelfi e ghibellini, gli uni e gli altri impegnati “a far lor arte”, prigionieri del loro settarismo. Contrapponendo il ghibellino (di parte rosso-stinto) Bersani al guelfo (di parte bianca) Renzi. Una coppia beckettiana, reincarnazione di quella ancor più celebre di “Aspettando Godot”, Vladimiro ed Estragone. I due aspettano un fantomatico Godot (un signor Nessuno). E. “ Se provassimo a lasciarci? Forse le cose andrebbero meglio”. V. “C’impiccheremo domani. A meno che Godot non venga”. E. “E se viene?” V. “Saremo salvati”. V. “Allora andiamo?”. E. “Andiamo” / Non si muovono. Quando si dice il teatro! Dante aspettava Godot; Renzi e Bersani lo stanno aspettando, entrambi bloccati dall’iperattivismo, l’uno, dall’immobilismo secolare del PD-Sinistra, l’altro. Per Dante trattavasi di utopia, per loro, a diversi livelli, di strategia dell’assurdo. Che continuiamo a registrare nel disarmante teatro dell’Assurdo chiamato Italia. Nel caso di Renzi, l’assurdità è dovuta a comportamenti e reazioni faziose o di mero ostruzionismo, che inficiano quel poco di buono o qualcosa in più da lui innescato; di Bersani, la resistenza ad accettare il gioco delle parti, quelle razionali e quelle irrazionali della politica. Renzi, abile nel gioco, mira a sparigliare.
(Giorgio Maulucci)
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