ITALIA DEI DOLORI: NOTE A MARGINE
Continuiamo a sostenere Renzi per ovvie ragioni di necessità, ma la sua goffa performance con il gelato a Palazzo Chigi non ci è davvero piaciuta. Per lo stile (berlusconiano), per il messaggio (cialtroneria italiana), per la guitteria. Ma chi glielo fa fare? Crede di essere oramai infallibile nelle sue mosse? L’America sarà stata pure eccessiva, ma ha un occhio bene allenato in fatto di “effetti speciali” che, però, devono essere molto bene architettati, specie se di natura politica. A dire il vero la vignetta d’oltre oceano ha colto nel segno nel focalizzare un’immagine prettamente italiana, improntata al barcamenarsi, al lecca-lecca o mangia-mangia. Insomma, “lecca che ti passa”; leccarsi i baffi per consolazione.
La scuola. Non siamo affatto sorpresi del sia pure momentaneo rinvio circa la risoluzione dei suoi problemi. Ci sembra impossibile, o almeno un miracolo se finalmente si attuasse una secolare questione: il riconoscimento del merito e relativa differenziazione dei compensi. Abbiamo a più riprese sostenuto (da molti anni) che il 50% del fallimento o della arretratezza della scuola italiana è da addebitarsi ai sindacati, che hanno individuato in essa un cantiere clientelare, elettoralistico, un’officina del tesseramento: la sussistenza dei medesimi. A cominciare dagli esoneri sindacali. Abbiamo avuto esempi di cattedre occupate da titolari (sindacalisti) rimaste scoperte per oltre quindici anni ed assegnate a supplenti: facile dedurne il duplice danno, per gli alunni (alternanza di supplenti), per lo stato (doppio stipendio). E per questo Renzi viene da essi attaccato. Il merito? Una bagattella “reazionaria” poiché i lavoratori sono tutti uguali, da quelli che fingono di lavorare a quelli che si fanno il cosiddetto mazzo, nella scuola in modo particolare cioè assolutamente volontaristico, paradossalmente per scelta professionale.
Gli stipendi irrisori degli insegnanti, impegnati (sulla carta) per 18h settimanali. Un’altra questione da anni dibattuta e mai risolta dai sindacati, ben consapevoli che avrebbero alterato i loro equilibrismi e le loro dannose alchimie. A fronte, infatti, della giusta rivendicazione dei docenti circa l’impegno effettivo di lavoro, che supera di molto le 18h tra correzione di compiti (a casa) e incombenze collaterali, i sindacati li hanno virtualmente sostenuti, di fatto illusi circa il rinnovo dei contratti: aumento dello stipendio in ragione di briciole o prebende da elemosina. Strategie degne di una falsa e bugiarda solidarietà sociale. Gli insegnanti dal canto loro sono sempre stati complici nell’assecondarli rifiutando di essere “discriminati”(figurarsi!) al motto di “siamo tutti lavoratori”. Non esiste perciò differenza di e per merito: tutti uguali! E così pure per il personale non insegnante. I sindacati dunque avrebbero adottato, secondo loro, il “manuale del partito comunista” pro domo propria (specie CGIL ,ma anche CISL) puntando su di un egualitarismo straccione e umiliante. Non ci tratteniamo: se Renzi si dimostrasse inefficace in tutto tranne che nell’avere abbattuto (in ogni senso) la Camusso (la più odiosa e ambigua della serie) e company, solo per questo continueremmo a sostenerlo. Va detto ad onor vero che se anche questa volta la riforma fallirà (come prevediamo), corresponsabili del fallimento saranno pure gli insegnanti se non aggiornano le proprie vedute e i metodi di lotta o protesta. A partire dalla restituzione in massa delle tessere tra quanti ancora fossero iscritti a qualsivoglia sindacato. Circa la sistemazione dei precari col renderli supplenti stabili, ci sembra francamente un’utopia specie sul piano economico. Riteniamo più urgente, infatti, ripristinare la logica di assegnare ad ogni singolo Dirigente un unico istituto scolastico che mantenere in vigore l’assurdo escamotage –un’altra bestialità tutta italiana- di moltiplicarlo su più istituti con le gravi disfunzioni che ne sono inevitabilmente derivate. E’ finanziariamente incongruente risparmiare sulle unità-presidi per investire a pioggia sui supplenti “di ruolo” la cui condizione precaria va risolta, invece, con una sistemazione giuridicamente congruente. Creando, ad esempio, delle forme ci copresenze didatticamente e produttivamente significative; stipendialmente calmierata a seconda dello status giuridico (titoli, graduatorie etc.). Sorridiamo a sentire dell’altra geniale “invenzione”: incrementare lo studio (le ore) della storia dell’arte e della musica: ma va?! Quelle scuole che in virtù della sperimentazione dell’Autonomia lo avevano già fatto (poche o pochissime) più di dieci anni or sono, introducendo fra l’altro anche l’indirizzo Beni Culturali (vedi Liceo Classico “Dante Alighieri”, Latina) con un notevole incremento di iscrizioni e posti lavoro, sono state brutalmente “decapitate”. Ripristinando il minimo storico delle ore in Arte (1-2h sett.li secondo riforma Gentile) da colei che non ci stancheremo mai di indicare come il peggiore ministro della (pubblica) istruzione della scuola italiana: la incompetente e poco intelligente Gelmini. Purtroppo coadiuvata da quei presidi che, per ignoranza o superficialità, hanno sottoscritto la “decapitazione”. Leopardi ne avrebbe tratto sicuramente ispirazione per una appendice alle sue “Operette Morali”. Titolo: “Dialogo di un venditore di castronerie (Gelmini) e dei suoi Geni (quei presidi) ”.
Quanto alla musica, nonostante l’apprezzabile sia pur tardiva illuminazione di istituire i licei musicali, riteniamo purtroppo ancora riduttivo che la musica non sia insegnata a vasto raggio in ogni ordine di scuola, magari consentendo l’opzione per lo studio teorico (storia della musica) o per quello tecnico-pratico (suonare gli strumenti). Siano cauti perciò Renzi e la Giannini nel lanciarsi nel pelago riformista della scuola. Facciano mente locale sui significati e sulle effettive possibilità di attuazione. “Sterilizzino” preventivamente i sindacati, i presidi-dirigenti non adeguatamente illuminati in proposito (si proceda allo svecchiamento di coloro che mai furon giovani!). Facciano professione di realismo ad evitare di creare l’ennesimo buco nel gran colabrodo della batteria scuola.
Leopardi. Abbiamo recentemente scritto di Leopardi a proposito della imminente uscita del film di M. Martone “Il favoloso Giacomo”. Abbiamo appreso dalla stampa che a Londra è sta pubblicata per la prima volta l’edizione integrale (in inglese) dello “Zibaldone”, che sta andando a ruba. Vuoi vedere, abbiamo pensato, che finalmente nella scuola italiana si comincerà a prestare la debita attenzione a quest’opera monumentale, una vera bibbia dello scibile non solo del poeta, ma anche dell’umanità? L’Italia, sedicente culla della cultura, dell’arte e della musica, è sempre andata a rimorchio dell’America (o Inghilterra) in fatto di mode, invenzioni e altro. Chi ci segue sa che culturalmente le anteponiamo la Germania avendo ampiamente dimostrato il nostro paese di non aver saputo fare tesoro del suo davvero glorioso patrimonio artistico e culturale millantando crediti a sproposito. Leopardi, a scuola, rimane ancora sullo standard “idilliaco” non sospettandosi che a seguito di una conoscenza pressoché integrale del suo Zibaldone di pensieri, gli alunni sarebbero in grado di leggere autonomamente i suoi celebri versi, comprendendoli perfettamente.
Italia Nostra (o Cosa nostra ?!). Purtroppo no non essendo più l’Italia quella che fu, cioè “nostra” in senso valoriale visto che è stata “espropriata” su diversi fronti, non ultimo quello della visibilità e credibilità. Per colpa, essa sì, nostra. “….Come una delle cagioni, perocchè se noi manchiamo oggi affatto di voci moderne proprie italiane e spagnuole, politiche e militari, ciò viene perché gl’italiani e spagnuoli non hanno più dal seicento in poi, né affari politici propri, né milizia propria. Fino all’estinzione dell’imperio romano l’Italia è stata serva perché divisa… Oggi è all’estremo della nullità politica, passività, incapacità di ogni operazione sia all’interno che fuori.” (G. Leopardi, Zib. 3855, 3877-78).
Giorgio Maulucci
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