LA BUONA SCUOLA: IL SOGNO IMPOSSIBILE DI RENZI, “L’UOMO CHE RIDE”
Dopo quarantaquattro anni nella scuola (come docente e dirigente), sappiamo di che cosa parliamo. Proprio per questo continuiamo a professare il nostro scetticismo sorridendo ed irridendo alla tanto reclamizzata “buona scuola”. Non fosse altro perché continuiamo a constatare che si persiste ad affidarne il governo, i rattoppi, le pianificazioni ministeriali a quanti di essa poco realmente conoscono se non in modo orecchiato o approssimativo. Sorridiamo nel sentire annunciare: più Arte, Musica, Diritto; più potere ed autonomia ai presidi/dirigenti; più autonomia nei programmi e nella didattica; più controllo dei docenti ovvero in-docenti; non più aule “pollaio”; più cultura. Per una paese come il nostro, che della cultura ha fatto carta straccia, quest’ultimo obiettivo sembra davvero risibile. Non sappiamo se Renzi sia documentato sulle tante sperimentazioni che, in passato, sono state attuate nella scuola italiana, attraversata non invano (per i risultati) da un vento innovatore per diversi anni; che è andato via via sempre più attenuandosi fino al ristabilirsi della calma piatta. Se egli sappia della sperimentazione o progetto Brocca, per nostra esperienza la più costruttiva ed efficace insieme a quella della Autonomia ad essa seguita. Le quali avevano concretamente anticipato e realizzato quel che oggi, in maniera “miracolosa”, si va propalando. Se, da un lato, si può riconoscere a Renzi di aver fatto riaffiorare un universo scolastico sommerso ed azzerato (le sperimentazioni) dalla insipienza, ignoranza, dal conservatorismo becero berlusconiani, complici e artefici i suoi infausti araldi (Moratti, comunque intelligente, Gelmini, assolutamente idiota e nefasta), dall’altro presentiamo che non ce la farà. Soprattutto perché dovrà fronteggiare l’incallito corporativismo che da sempre vige nella scuola. Come niente, infatti, gli insegnanti, a buona ragione diffidenti, ma per lo più restii a mettersi in discussione, sono pronti a riportare in vita il corpo sfatto del sindacato (uno dei maggiori responsabili di tanti guasti della scuola) pur di evitare di essere a loro volta “sindacati” (dai dirigenti o chi per essi). Ai nostri tempi erano previste le “note di qualifica” che, a conclusione di ogni anno, il Provveditore agli Studi vergava e comunicava ad personam. Sostanzialmente una pro forma -all’italiana- essendo tutti i docenti valutati, al novantanove per cento, con “ottimo”. Era comunque un deterrente, abolito successivamente dai sindacati in nome della libertà di insegnamento e della ingiustificata valutazione dell’operato della classe docente, insindacabile. Un tentativo lo fece il ministro Berlinguer (tra i pochissimi competenti) con il cosiddetto “concorsone” ai fini della valutazione (dei docenti), anch’esso castrato dai sindacati. Forti, dunque, della più che positiva esperienza delle suddette sperimentazioni che contemplavano lo studio del Diritto ed Economia, la diversificazione degli indirizzi con l’incremento di ore per la Storia dell’Arte Beni (Culturali), la Matematica e la Fisica (ind. Classico Moderno), dei Linguaggi Cinematografici (indirizzo cinematografico), di quello tradizionale o Umanistico propriamente, benché increduli ci rallegriamo nel sentire che, dopo venti, dieci anni, qualcuno s’è svegliato (Renzi o chi per lui). Il problema, allora, era quello di cooptare i docenti (non si poteva obbligarli a sperimentare). Tutt’al più il preside aveva il potere discrezionale di individuare tra loro i più idonei ad un compito arduo per garantire la qualità e le positive ricadute di un insegnamento alternativo o innovativo. Il problema della scuola è stato sempre questo: l’impossibilità di distinguere i docenti dagli in-docenti, quelli che hanno il talento di insegnare e quelli che, nella media, dispongono di un dignitoso o consumato mestiere. Ovviamente sono necessari entrambi (talento e mestiere), ma non poche volte ci si trova di fronte a docenti che potrebbero/dovrebbero essere assegnati ad altra funzione.
Nel quadro della buona o nuova scuola del governo Renzi, finalmente, i Dirigenti avrebbero la facoltà di operare in modo tale da selezionare il personale docente non solo in base ad accertate competenze settoriali (la specifica disciplina), ma anche culturali ed attitudinali, concernenti cioè le dinamiche relazionali. Purtroppo circolano impunemente nelle scuole (classi) docenti capaci di sortire effetti traumatici sugli alunni tanto da disamorarli allo studio per essere inadatti (misfits) all’insegnamento; “distruttivi”. Mai fino ad oggi nessun ispettore ministeriale né alcuna norma hanno dimostrato di poter/voler risolvere un problema didatticamente e pedagogicamente così importante. Complici, sempre, i sindacati. Tanti anni fa, al Liceo Classico di Latina, c’era una insegnante notoriamente e caratterialmente strana, una specie di flagello. Il saggio preside di allora inviò relazioni documentate al Ministero, intervennero gli ispettori, l’insegnante fu sospesa per diversi mesi. A seguito di ricorsi e controricorsi, fu riammessa in servizio. Memori di ciò, ma non solo, abbiamo sempre pensato che all’ingresso di ogni scuola dovrebbe esserci una epigrafe con la scritta “I docenti non hanno sempre ragione”. Nello stesso Liceo, oggi, c’è ancora qualche esemplare (uno accertato), non certo al livello del caso citato, che riteniamo misfit per gli alunni, e ci dispiace per loro e per la scuola. Ma è giusto e costruttivo che un Dirigente decida da solo? E giù col decisionismo renziano o mussoliniano! La scuola, diciamo noi, è più importante (e seria) del governo, dunque, le decisioni che la riguardano andrebbero prese prima che dai ministeriali, al 70% (se va bene) estranei alle dinamiche e strategie scolastiche, dagli addetti ai lavori in senso stretto. Nel caso specifico, da un consiglio direttivo, ad ogni buon conto con un rappresentante del Ministero ed un esperto della didattica e/o docimologia. Che preveda un colloquio (non estemporaneo) per le nuove leve -eventualmente anche per testare l’aggiornamento dei veterani-, con una prova dimostrativa finale: due settimane di regolare lezione nella/nelle classi, ovviamente alla presenza del Dirigente, un esperto in materia, altri (una commissione). Un procedimento, questo, non congeniale al garantismo del sistema Italia, meno che mai al sistema scuola dove vige e prevale la strategia gommosa della “tranquilla” dissimulazione.
Che dire dell’Arte e della Musica? Della scarsa considerazione date ad esse (dal paese e dalla scuola) ai fini della formazione della coscienza civile e culturale dei giovani? All’inizio della nostra carriera da preside, la prima operazione effettuata riguardò la Musica, nel nostro ordinamento scolastico contemplata solo nell’Istituto Magistrale (di allora): un’ora settimanale. Riuscimmo ad ottenere dal Ministero un’altra ora (due ore settimanali), una vittoria sudata. La citazione non vuole essere autoreferenziale, piuttosto la dimostrazione di un ritardo inaudito nel caso in cui si introducesse finalmente la Musica in ogni ordine di scuola. La recente istituzione del Liceo Musicale, anch’esso in forte ritardo, non ne giustifica l’assenza; lo stesso dicasi della/per la Storia dell’Arte. Solo oggi se ne parla perché un Renzi, nella sua smania personalistica e propagandistica, ha lanciato un altro dei suoi “petardi” nell’aria -la buona scuola-, che dovrebbe essere davvero il risultato di Arte più Musica più Cultura (che implica anche quella religiosa). Evidentemente Renzi si sarà dimenticato dell’ “ora di Religione”. Tanti anni fa proponemmo al Ministero (nel’ambito della sperimentazione) di introdurre la Storia delle religioni, proposta respinta dallo stesso e, prima ancora, dalla CEI. Mai come oggi constatiamo con amarezza che la conoscenza e lo studio della storia di altre religioni avrebbe reso maggiormente comprensibile l’Islam con i suoi annessi e connessi facilitando, probabilmente, i distinguo tra terrorismo e quella cultura religiosa. Lo scoppiettante Renzi questo petardo non l’ha fatto scoppiare, lui, “L’uomo che ride” (romanzo politico-sociale di V. Hugo, pubblicato nel 1869, ambientato nella Inghilterra dei primi del XVIII, regina Anna Stuart, da cui “Rigoletto” di Verdi). L’eroe protagonista del romanzo, il giorno in cui alla Camera dei Lord parla appassionatamente del mondo dei miseri che l’ha salvato (per analogia, gli elettori che hanno acclamato Renzi), si commuove scoppiando in un pianto dirotto che si trasforma in una spaventosa risata, che si propaga irrefrenabile tra i lord che lo ascoltano (per analogia, i contraccolpi incassati da Renzi, sfogati/sfociati nei suoi eccessi di ottimismo). Noi non retrocediamo, almeno per ora, dal nostro scetticismo circa il cambiamento, soprattutto della scuola. Se l’Italia finora non si è destata, ciò si deve anche al fatto che essa è stata da sempre “sedata” da un governo (Ministero) politicamente deformato e da una visione/gestione conservatrice. Che l’ha sfibrata a furia di pseudo riforme, di sperimentazioni considerate un’eterna “prova d’orchestra” mai approdata al debutto ufficiale (la riforma); che non può certo considerarsi quello della controriforma gelminiana, un fiasco totale. Se la scuola italiana, nel bene e nel male, è progredita lo si deve al perenne ed indefesso “volontariato” dei docenti. Nel senso che non essendo stato mai previsto né istituito uno standard metodologico e docimologico nazionale, valutazione degli alunni compresa, essa ha potuto contare prevalentemente sulle capacità, intuizioni o “genialità” individuali dei (non pochi) migliori docenti. Ciò ha comportato, in maniera inversamente proporzionale, che la media degli insegnanti di ogni ordine e grado, facendosi scudo della incontestabile miseria retributiva e della libertà di insegnamento sancita dal dettato costituzionale, ha sempre rimosso ogni critica ed autocritica circa la professionalità, contrabbandato per libertà l’arbitrio di insegnamento. In entrambi i casi con la tutela dei sindacati. Definire e risolvere i problemi occupazionali, dell’indecoroso precariato, delle carenze strutturali e progettuali è giusto e sacrosanto. Ma dei metodi, del senso di una scuola veramente attiva e moderna dove e come si discute? Questo ministro, fin qui, a noi è parso un ministro ombra, anch’egli incerto e portavoce afono dei sogni di Renzi. Che continua a trasformare in risate fragorose un pianto convulso, con il rischio di rimanere soffocato.
Giorgio Maulucci
Tags: Alessandro Cozzolino, Giorgio Maulucci, la buona scuola, Matteo Renzi
Trackback from your site.