UN PRESIDENTE IN GRISAGLIA
L’elezione del dodicesimo Presidente della Repubblica offre il destro per una sintesi non solo del circo Italia, ma anche delle analisi, delle critiche, premonizioni o “profezie” da ogni parte avanzate, dall’entrata in scena di Renzi-Napolitano fino alla prima quadratura del cerchio siglata Renzi-Mattarella. Dando per scontati fatti e fattacci di cui tutti oramai sono a parte, ci piace precisare subito che fin dall’inizio, pur manifestando le nostre perplessità sul personaggio Renzi, abbiamo individuato in lui l’uomo d’ azione, colui che finalmente avrebbe potuto se non altro arginare Berlusconi e pensare realmente al cambiamento. Di non avere mai avuto dubbi, fin dal loro primo apparire, sulla scellerata comparsa e affermazione di Grillo e Casaleggio e la conseguente acclamazione a semi furor di popolo del movimento. Di non giustificare, oggi, la volgarità e la demagogia degli stessi, i guasti ed incidenti comportamentali e antiistituzionali neppure in virtù di un pur ammissibile effetto positivo (provvidenziale?): lo scossone provocato nella gora stagnante dell’apparato politico.
Stante il punto di quasi non ritorno cui siamo approdati in Italia; non potendosi mai pensare ad una rivoluzione dal basso in un paese per conformazione storica controrivoluzionario, endemicamente democristiano etc.; deviato dagli imperdonabili errori di una sinistra retorica, inconcludente e scomposta; azzoppato da D’Alema, oscenamente defraudato da Berlusconi; con una sinistra-PD per fortuna pentita, ricomposta e “risorta” in extremis grazie al duo Renzi-Mattarella e l’elezione del nuovo Presidente, finalmente oggi ci sentiamo risarciti e confermati nelle nostre idee e previsioni. Che l’Italia, spiritualmente e ideologicamente, è un paese “risorgimentale”, quindi nazional popolare; per tale ragione è assodato che essa rimanga ancorata alle sue origini e cioè al “Partito d’Azione”(così Scalfari), se si vuole all’ideale mazziniano (“pensiero ed azione”). Ci sarebbe piaciuto di più sul filo del pensiero di Gramsci, ma tutto non si può pretendere (non a caso nella scuola viene sottaciuto o ignorato). Neppure che la sinistra, dopo il crollo delle ideologie e il ventennio berlusconiano, sia/fosse più sinistra delle sinistre secondo gli intendimenti degli Zarathustra Scansi e Travaglio. Che dalla vetta del loro pensatoio (Il Fatto Quotidiano), novelli critici della “ragion pratica”, “del giudizio” (il loro, insindacabile), affetti da dandysmo superomistico, pontificano eleggendo il principio di contraddizione a paradigma esemplare di una ipotetica “ragion pura” o metafisica della ragione. Mattarella? Tanto bravo, ma non è di sinistra, quindi garantisce i democristiani come Renzi. I cinque stellati? Imperfetti, ma grazie a loro il volto della politica italiana è stato demummificato. Lo stesso Antonio Padellaro, direttore del “Fatto”, che per serietà e antidivismo (rispetto ai sunnominati) stimiamo, pur ammettendo di aver perso la scommessa sulla elezione di Mattarella (lo ha simpaticamente riconosciuto dalla Gruber), non ha mancato di dichiarare che Renzi ha avuto dal suo giornale una buona dritta per la scelta che ha fatta, presumiamo l’essersi scollegato da Berlusconi. Ci consideriamo oramai onestamente “impolitici”, restii ad obbedire a logiche di partito, fedeli alla marxiana o gramsciana “ideologia tedesca”. In gioventù siamo stati attratti dal/nel grande alveo del comunismo poiché affascinati da Enrico Berlinguer; dalla concretezza e saggezza del suo pensiero tradotto nell’intuizione del compromesso storico, l’unica via italiana politicamente ed ideologicamente possibile; dalla statura e figura morale di grandi statisti, uomini di studio e politici di razza quali sono stati un Moro, uno Zaccagnini. Dopo avere insistito e resistito per anni nella “fede”; aver dovuto accumulare delusioni storiche –i gruppi extra parlamentari, la felice stagione de “Il manifesto”, nobilitato dalla carismatica R. Rossanda-, e di là a seguire; aver dovuto constatare la miseria e l’opportunismo dei sindacati fermo restando le grandi lotte operaie da essi molto bene orchestrate grazie ai protagonisti (gli operai, dall’indubbia onestà politica e sociale). Dopo tutto ciò, strada facendo, ci siamo convinti che il grande Verdi aveva sempre più ragione nel chiosare “Torniamo all’antico, e sarà un progresso”! Mattarella, appunto, la tradizione. Che come nella letteratura e nell’arte, non significa idolatrare il passato bensì guardare al futuro con le spalle garantite da capisaldi inossidabili, dalle opere e dai “testi” (in senso lato) di un trapassato remoto, un passato remoto e prossimo di cui il presente deve tener conto. La elezione di Mattarella è l’ennesima dimostrazione di un paese che non può tenersi dal criticare, blaterare, opporsi a tutti i costi. Se la critica è figlia della democrazia e annesse libertà di pensiero e parola spesso, però, in Italia manca di buon senso e di buon gusto. Nel merito del discorso del nuovo Presidente della Repubblica ognuno, a buon diritto, ha detto la sua, più di qualcuno orinando per l’aria. A noi è parso più che sensato, perfettamente aderente ad un paese che finora non ha voluto né saputo cambiare. Discorso equilibrato e austeramente umano, antiretorico nel complesso, addirittura quasi stridente con la retorica o l’enfasi dei fragorosi applausi, meritati e di cuore, almeno ci è sembrato, ma senz’altro autoreferenziali per essere liberatori e assolutori. Diremmo un autodafé dopo gli spettacoli indecorosi degli ultimi decenni dati dal Parlamento (tra cui la “porcata”, quella sì, di due anni fa con rielezione forzosa di Napolitano etc.), per non parlare dei grillini, da epurazione. Ineccepibile il riferimento ai giovani della e nella politica, in genere, ai cinque stellati per inequivocabile allusione. Riconoscere loro che hanno pur scosso il fin troppo prolungato, atavico immobilismo governativo/parlamentare è accettabile e comprensibile, sia pure ai limiti. Quel che non accettiamo è l’astuzia, più precisamente il gioco intellettuale e l’astrattezza di uno Scansi (lo immaginiamo un personaggio da fumetto, tipo Diabolik!) o di un Travaglio (un Faust alla rovescia!) che da un lato elogiano grilli e grilletti, dall’altro fingono di riconoscere che sì, però, dovrebbero etc. Mattarella ha detto con molta chiarezza e pacatezza: prego, si accomodino, bene accetti, ma per fare politica bisogna essere dentro le istituzioni. La differenza tra i due scrutinaparole e sputasentenze ed il Presidente sta nel considerare realisticamente la situazione anziché pavoneggiarsi nell’utopia di una rivoluzione prossima ventura chissà mai, salvando di e nel “fatto” i grillini. I quali, accettata per buona la potenzialità delle buone intenzioni di una minoranza di essi, fino a quando non saranno stati “decapitati” i caporioni della peggior specie –Grillo e Casaleggio-, sono condannati a rimanere fuori della storia, all’improduttività. Il diaboliko Scansi non ci convince quando, anche lui, concorda nel disapprovare quei due lasciando, però, implicitamente intendere che loro almeno sono veramente di sinistra; che hanno distratto l’elettorato dalla Lega etc. E allora? Continuiamo a restare appesi per l’aria in attesa della grande rivoluzione proletaria guidata da un esercito di grilli e di cavallette? Eppure anche i tempi di Rifondazione Comunista sono finiti per l’autocombustione o consunzione di un Bertinotti, non paragonabile assolutamente ai due inqualificabili grilloni. Uno dei quali (Grillo) si permette di dare consigli e direttive al neo Presidente, ventilando di aspettarlo al varco: para terrorismo ideologico; solo per questo dovrebbe essere radiato dal consesso dei civili, caprone! Scansi e Travaglio come lo stesso Grillo (l’anima nera e dannata di Casaleggio, inquietante Mefistofele, non si è sentita) e Berlusconi, unendosi con sussiego al coro, riconoscono essere Mattarella “una brava e degnissima persona” (per favore, basta con queste frasi di circostanza), peccato che sia della vecchia dc. Scansi ammonisce Renzi e tutta la umana compagnia a guardarsi dal professarsi di sinistra, una clamorosa eresia. E’ come pretendere che Mina, grande voce, si metta a cantare l’opera lirica: non è nelle sue corde, ma la voce c’è. Renzi ha dimostrato di averla, la voce, e di saperla usare. Conosciamo l’elenco delle tante inadempienze, delle intemperanze ed inconcludenze addebitategli, da ultimo De Magistris, sindaco di Napoli, che lo accusa di difendere il capitale e le banche anziché il cittadino; di non aver nulla realizzato e portato a casa nel semestre europeo etc.; praticamente, che non ha fatto quel che lui ha fatto a Napoli e per Napoli: se si facesse un cambio, probabilmente Renzi (a Napoli) non sarebbe da meno. Ripetiamo quel che da mesi andiamo dicendo: questa è l’Italia, un paese restio a cambiare. Sulla scena politica il binomio Renzi-Mattarella potrebbe essere molto interessante, forse la conciliazione degli opposti pur restando ognuno nella propria sfera d’azione; contemperandosi a vicenda. Da un lato, il pensiero giuridico-“contemplativo” stile Scuola di Atene, dall’altro, il pensiero fattivo di una probabile scuola neosofistica; precisando che i Sofisti non erano affatto dei “cialtroni”, ma pensatori attivi di bella e pratica intelligenza. E non ci vengano a dire (i due Zarathustra, De Magistris, altri) della “bravura” dei greci e degli spagnoli, dei loro rispettivi lieder ribelli e rivoluzionari, espressione di una vera sinistra: grazie, anche noi li apprezziamo. Prima di tutto per lo stile, che certo non è lo stesso degli sfrangiati e soggiogati grillini, puerili ed immaturi a confronto dei Podemos. In secondo luogo, ne comprendiamo le ragioni alla luce della storia di paesi assolutamente diversi dall’Italia. Per quanto la Grecia si sia tremendamente immiserita col passare dei secoli, non dimentichiamo che là ebbe origine la costituzione degli Ateniesi (Athenàion polithéia), al cui confronto la nostra Costituzione è ancora infante. Mattarella, da costituzionalista qual è, la saprà interpretare ed applicare nel suo aspetto più intransigente (Napolitano la interpretava-applicava più da politico). Egli ha fatto una radiografia dell’Italia “compassata” (disegnata col compasso), se si vuole, ma assai convincente partendo, a nostro avviso, da un presupposto storico e pratico insieme: la resistenza degli italiani al cambiamento, la loro sofferenza per essere vittime più o meno consapevoli di un perverso sistema politico. A dire il vero, gli italiani sulle prime sono consapevoli della necessità di cambiare, ma finiscono col rimuoverla avendo i governanti rinviato sempre il cambiamento ad un domani incerto e fumoso. Siamo quasi certi che a proposito di ciò Mattarella sarà l’ago della bilancia tra Renzi e Berlusconi. A questi, in particolare, riteniamo che egli non sia disposto a fare concessioni visto il premio a sorpresa concessogli (defalcazione dei giorni d’esilio, non della pena!). Ci viene in mente il finale de “L’Opera da tre soldi” di Brecht: il bandito-mafioso Makie Messer, dopo le assidue connivenze con la polizia e uomini di legge, viene alla fine condannato con disappunto dei conniventi; in virtù del lieto fine, d’obbligo in teatro, gli viene concessa la grazia. Un altro colpo di teatro? Auspichiamo che finalmente il sipario si chiuda (su Berlusconi)! Il sentito riferimento alla e contro la mafia, il risalto dato alla Resistenza fanno capire senza mezzi termini che non c’è posto per connivenze o ambiguità. Se questo sapeva e sa anche Renzi, è ancor più importante che lo affermi esplicitamente -e lo dimostri- il Presidente della Repubblica. Che ha vissuto in prima persona il dramma del cancro mafioso, storicamente e politicamente il senso e la valenza civili e morali della lotta antifascista. Che dire del terrorismo? Non si tratta esclusivamente di una questione religiosa, ma di una brutale strumentalizzazione politica della fede o religione; di un attentato alle libertà ampiamente intese (lo abbiamo ribadito recentemente a più riprese). Un fenomeno da estirpare non certo con le chiacchiere o le plateali manifestazioni. Che sicuramente servono per contarsi e per isolare, ma che devono rientrare in un programma permanente di educazione civica e di prevenzione: la scuola, appunto, la cultura, di cui ancora il discorso Mattarella. Se conservare significa far tesoro della ricchezza di un patrimonio di studio ed esperienza, di un patrimonio artistico e culturale, ben venga un conservatore di tale stampo. Discorsi scontati, banali ? Tante verità si nascondono dietro l’apparente ovvietà; tutto sta nel modo in cui si manifestano e si leggono. Del resto la fisionomia del paese Italia è molto condizionata da una bellezza che spesso si apparenta all’effimero senza essere niente affatto effimera. Un Presidente grigio? La grisaglia è una stoffa umile ma ben calda, intessuta di tanti puntini neri e bianchi da ottenere una tonalità grigia. In pittura (grisaille) “procedimento pittorico di riproduzione delle luci e delle ombre mediante vari toni di grigio”: un esempio bellissimo è nella chiesa dei Gesuati, a Venezia. Mattarella, a nostro avviso, sulla linea di Napolitano (ovviamente anche lui gran brava persona, per carità, ma fortemente criticato dai suddetti, dai grillini, annessi e connessi) farà di tutto per continuare a rinsaldare e “riscaldare” l’unità del paese, a chiaroscurare (evidenziare per contrasto le zone luminose) l’immagine di un’Italia attualmente fin troppo appannata e deteriorata da “restauri” niente affatto idonei e competenti.
Giorgio Maulucci
Tags: Alessandro Cozzolino, Giorgio Maulucci, Presidente della Repubblica, Quirinale, Sergio Mattarella
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