V I V A L E I
“Viva lei”, Mina. La canzone la scrisse Paolo Limiti nel ‘70 (la lei, ovviamente, non è Mina). Per chi l’ha seguita dalle origini come noi, lei è inconfondibilmente Lei. “Un bacio è troppo poco” per il suo settantacinquesimo compleanno. Era la sigla del varietà radiofonico “Gran varietà” (la domenica mattina), e avvertivamo tutti un brivido nella schiena, sognando quel bacio. “E se domani” non cantasse più ? Tutte le altre voci della canzone italiana si incrinerebbero sulle note di “E poi e poi” ? Il popolo dei suoi ammiratori si chiederebbe perché “Se il mio canto sei tu” (1979). Quella canzone (E se domani, di C.A. Rossi) fu presentata a San Remo (la cantava Gene Pitney, non ricordiamo l’altro interprete), squalificata subito nella prima serata passò inosservata. Fu trasmessa per radio qualche settimana dopo, buttata là; la cantava lei insistendo su quel “…e sottolineo se” con struggimento e determinazione, risolvendo una ordinaria storia d’amore deluso e ferito in una romanza toccante per verità e sentimento; restituendo la delicata semplicità ed intimità del testo. Suonò tutt’altra canzone da quella sanremese. Proseguendo idealmente, con languida melanconia (sul lato B del 45 giri) con “Quando vedrò” (stesso autore), un umile confessione di rinuncia all’amore negato, un piccolo idillio sommerso dal clamoroso successo dell’altra (latoA), pressoché ignorato. Sì, Mina ha cantato l’amore a 360 gradi rasentando spesso, nella interpretazione, toni e sfumature da autentico melodramma. Nell’immaginario di tutto il mondo (ha inciso anche in giapponese: Anato to watashi) è stata e rimarrà impressa nella mente e nel cuore “Come (una) sinfonia”(di lei si è detto che ha un’orchestra in gola). Sì, quella di Pino Donaggio, che lei, in uno dei gloriosi Caroselli della Barilla, se la giocò dondolando su un altalena a fior d’acqua, in riva al mare. Mina superlativamente “Brava”, seguita con orgoglio dal maestro Bruno Canfora (l’autore) e l’orchestra nella prima esecuzione assoluta dell’assurda canzone (Studio Uno, 1966). Lei, di nero fasciata, sottolinea flessuosamente col corpo, le braccia e le mani le rutilanti, rapidissime note spingendosi sempre più su, fino all’ultima; esibendo un’autocertificazione di bravura siglata dal “Bravaaaaaa” prolungato all’infinito. L’ha cantata come se telefonasse; è proverbiale il detto che con quella voce potrebbe cantare anche l’elenco telefonico. Non a caso Ennio Morricone scrisse per lei “Se telefonando”, altro incredibile sali-scendi di note. Quando “Studio Uno” non era ancora diventato il suo habitat artistico naturale, una sera, sfidando i melomani partenopei, sommessa ma intensa cantò “ ’Na sera ‘e maggio”: fu un’emozione ascoltarla (sul latoB del 45 giri, “Sciummo”). Una grande cantante e interprete come lei non poteva farsi condizionare dalla dizione e pronuncia. Bene ha fatto a proseguire la sua incursione nell’ “Immensità” (Don Backi, da lei trasformata in un fiume canoro) del pelago della canzone napoletana, con arte e grande passione (“Canzona appassiunata”, 2003). Clamorosa e (melo)drammatica rimane l’interpretazione di “Lacrime napulitane”, cantata nello strepitoso concerto alla Bussola, nel 1978, che segnò il suo ritiro dalle scene consegnandoci l’ultimo LP live. Ironica e beffarda, fumando un sigaro, si congedò anche dal pubblico televisivo sussurrando “Non gioco più” (sigla del varietà “Milleluci”). Il primo LP live lo aveva inciso nel 1968, sempre alla Bussola di Viareggio, grazie a lei divenuta, in seguito, mitica. C’era arrivata per caso nel 1958, per gioco salì sul palco, afferrò il microfono, urlò “Nessuno” (sottinteso: potrà tenermi testa), la negazione o meglio l’azzeramento del melodico scialbo sanremese. Quell’urlo arrivò fino al “Cielo in una stanza”, che si illuminò improvvisamente (e Gino Paoli uscì dalla stanza divenendo finalmente “visibile” al grande pubblico), attraversò il piccolo mondo antico della canzone italiana, stravolgendolo.
Lei e Modugno rimarranno i due più grandi innovatori, sperimentatori ed interpretti d’avanguardia, l’uno dipingendosi di blu, l’altra cavalcando una “Zebra a pois” e facendo scoppiare “Le mille bolle blu”. In un CD a lui interamente dedicato (in copertina la foto della Mina di oggi), “Tu si ‘na cosa grande”, introdotta da un grido prolungato, a polmoni spiegati, sembra voglia essere quasi un riconoscimento dovuto al grande autore. Nel concerto (ed LP) del ’68 Mina sfoderò il suo inimitabile talento e volume canoro “dilatando” parole e frasi di canzoni americane ancora poco note in Italia. “Cry” è il primo di una lunga serie, che canta con voce potente, arrochita da un pianto convulso. Aveva esordito in uno dei primi Studio Uno con “Summertime”(1961), in calzamaglia nera: Don Lurio, il coreografo, avrebbe voluto farle muovere qualche passo “ballerino”, lei, visibilmente riluttante e impacciata, cantava e basta. Di fatto non ha mai accettato di fuorviare dal suo universo canoro declinando qualsiasi favolosa offerta dal cinema, teatro di rivista, altro. Il suo mondo è stato e rimane la musica, la sala di registrazione e la televisione che fu, stop. Unica concessione a Falqui e Sacerdote, che in “Canzonissima” (1968, con W. Chiari e P.Panelli), soprattutto in “Milleluci” (1978, in coppia con la Carrà) la convinsero a farsi magnifica soubrette e performer. Forse perché non ci avrebbe mai creduto una sera, grata, per i suoi pigmalioni cantò “Mi sei scoppiato in fondo al cuore” (ovviamente è un nostro film)! Ha cantato superbamente celebri pezzi americani e sudamericani (questi, soprattutto, la sua seconda anima musicale) divulgandoli in patria: Giorgia, Ebb Tide, September song, Amado mio, Angustia, Caminemos, un’infinità. Ne ha “tradotto” e personalizzato in italiano tanti altri, tra i primi “Moliendo café” e “Quien Sera” (45 giri, 1967): “Chi sarà” il suo prossimo, grande amore? Abbiamo saputo tutto di lei, perseguitata, assediata dai fotografi, bersagliata da tutti i rotocalchi pettegoli, che non l’hanno minimamente risparmiata. Fu esiliata/epurata per più di un anno dalla RAI, colpevole di essere una ragazza madre (relazione con Corrado Pani). Ma trovò il modo, altro che, “Per ricominciare” (la canterà alla Bussola, nel ’68, rilanciata qualche anno fa in versione originale -Don’t call me baby- per la pubblicità della Fiat). Torna clamorosamente in televisione dall’esilio e quell’anno (1964), per il suo pubblico, fu “Un anno d’amore” (C’est irréparable), che risuonava avvolgente e melodioso in ogni dove, sulle spiagge, nei bar, perfino in una “Città vuota” (It’s a lonely town). Lei, signora delle sigle televisive, una serie di camei indimenticabili: “Soli”, “Addio”, “Conversazione”, “Sabati e domeniche” e tante altre. Cose da “Non credere”(1964), sempre più in alto con la voce, con la sua figura regale e al tempo stesso adorabilmente nostrana, schiva eppure carismatica per presenza scenica. Stilisti e maghi insigni della moda si sono sbizzarriti a vestirla, truccarla, trasformarla e “trasfigurarla” nelle fogge e forme più stravaganti, surreali, sontuosamente bizzarre, da lei esaltate con estrema naturalezza, eleganza ed ironia in virtù di una istintiva, teatrale gestualità. Perfetta pur se inconsapevole mannequin, padrona di casa affabile e intrigante, ma discreta (da antologia i duetti con “E’ l’uomo per me”: Sordi, Totò, De Sica, Mastroianni, Celentano e molti altri), semplicemente elegantissima. La sua carriera non ha eguali. Iniziata con una piccola casa discografica, la Italdisc e il fidato arrangiatore Tony De Vita – “Stringimi forte i polsi”, sigla di Canzonissima 1962, autori Dario Fo e F. Carpi- ; passata alla Rifi Record (sodalizio col maestro Augusto Martelli), la lascia nel 1967 per mettersi in proprio con la sua casa discografica, la PDU. Lo stesso anno viene pubblicato il primo LP (Dedicato a mio padre) in cui inserisce “La canzone di Marinella” (F. De André), praticamente rilanciata su vasta scala da lei (come fu per Paoli). Questo disco ha una storia. Comprendeva una canzone dal titolo “Trenodia”, scritta da G. Calabrese sul celebre motivo del Concerto di Aranjuez di Joachim Rodrigo. Questi fece causa alla PDU per avere utilizzato pedestremente la sua musica, forse contrariamente alle sue indicazioni. Il pezzo fu eliminato dallo LP ma , nel frattempo, era uscito il 45 giri (Trenodia) che, allora, anticipava sul mercato il prossimo LP con due canzoni tra le più orecchiabili in esso contenuti. Dopo circa un mese fu ritirato dalla circolazione.“Trenodia” non figura in nessuna delle innumerevoli compilation incise da Mina e non si è mai più sentito. Quel disco, oggi, è una rarità. Mina ha cantato di tutto, perfino i Beatles, alla sua maniera; come per le canzoni napoletane, non particolarmente gradita dai puristi. Ripercorrere la sua leggendaria discografia è impresa ardua per la mole incredibile delle incisioni. Lei è una leggenda, la Voce per eccellenza della canzone italiana. Di lei è stato detto, scritto, volgarizzato tutto.
Noi custodiamo gelosamente i suoi dischi, un patrimonio prezioso, dai primissimi 45 giri ai vinili, veri e propri album da collezione. Con le straordinarie copertine di Mauro Balletti che l’ha disegnata e reinventata alla Andy Warol, nelle pose ed allusioni più strane, ironiche, “mostruose”, marziane: con la barba, come scimmia, manichino pelato o metafisico, androgina, picassiana. Facendo dimenticare quelle delle origini, da ragazza sbarazzina a donna fatale. Album da sfogliare, dai quali risuonano “Parole, parole, parole” infinite, d’amore, di allegria, nostalgia, rimpianto. Album di ricordi indelebili. Idealmente abbiamo festeggiato il suo compleanno (25 marzo) trionfalmente, trascinati da una banda gioiosa e fragorosa, “La banda” che suona per lei e lei che canta Lucio (Battisti), per darci ancora tante “Emozioni” , per dirci “Amor mio”. E noi ad inneggiare “Mi ritorni in mente”, perché lei è “Grande, grande, grande / come te sei grande solo tu”. Auguri Mina, e canta ancora negli anni a venire …. “Ancora, ancora” Mina !
Giorgio Maulucci
Tags: Alessandro Cozzolino, Giorgio Maulucci, Mina
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